LaPresse
Andrea's Version
Non può dirsi civile un paese in cui resista l'informazione
Guardi e senti Ranucci, poi leggi i Travaglio e i Giannini che gli fanno da mentori; ascolti la politica, di sinistra, o di destra, gareggiare a chi lo indispettisce di meno, ne leggi i meriti a caratteri cubitali sulla cosiddetta “grande stampa”, dove troppi redattori, troppo spesso mediocri cazzari, si sentono Hemingway. Registri che l’Associazione Nazionale Magistrati davanti a Ranucci si inchina, anzi, gli si sdraia sotto, salvo sollevare ogni tanto un mignolo per apparire più indipendente della corrente rivale.
Prendi poi nota degli intellettuali incolti, degli scrittori à la page, degli artistoidi alla Pelù, per metà cantanti da fiera e per metà poetastri di quart’ordine: oddio, l’hanno contrariato; oddio, gli hanno dato un multa; oddio, chissà che cosa gli fanno passare a Ranucci dentro la Rai. Non puoi usare l’ironia, perché la grande muraglia dei deficienti si allunga più che in Cina, né puoi ricordare Oscar Wilde: “Il giornalismo giustifica la sua esistenza attraverso il principio darwiniano della sopravvivenza del più volgare”. Una lezione soltanto ti resta da trarre: non può dirsi civile un paese in cui resista l’informazione.
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Marco è Le Cornu, ma di cognome fa ancora Travaglio
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Non siamo più devastatori, ma meneremmo, questo sì, palate di ebrei
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