Sostenibilità e consumo: da scelta etica ad acquisto di qualità
Al Salone della CSR le opinioni di Realacci, Calabrò, Calvi
Milano (askanews) - Da comportamento responsabile a scelta di qualità: al momento dell'acquisto il prodotto sostenibile non viene più scelto solo perché "etico", ma perché "migliore". E' una delle evidenze che emergono dall'indagine Ipsos realizzata per l'edizione 2018 del Salone della CSR e dell'innovazione sociale. L'indagine ha dato conto degli atteggiamenti di consumatori e aziende nei confronti della sostenibilità, e ha offerto un primo tema di confronto ai relatori intervenuti al Salone.
"Credo che tutte le ricerche recenti dicano che nei consumatori dei Paesi più evoluti e a maggior livello di reddito sta crescendo la consapevolezza dell'importanza di un consumo sostenibile - conferma Antonio Calabrò, direttore della Fondazione Pirelli e vicepresidente di Assolombarda che ha partecipato al Salone - E gran parte dei consumatori sono anche disposti a pagare quel pezzettino in più di prezzo che faccia sì che sul mercato ci siano prodotti di qualità e rispettosi dell'ambiente. La qualità viene apprezzata dai consumatori evoluti".
E la ricerca della qualità, in termini di sostenibilità, ha una ricaduta importante sulle aziende che hanno fatto propria una strategia di responsabilità di lungo periodo. "Uno studio che ha fatto la Fondazione Symbola insieme a Uniocamere - dice Ermete Realacci presidente di Fondazione Symbola a margine di un convegno svolto al Salone della CSR - risulta un dato molto importante: che le imprese che scommettono sulla coesione e sulla sostenibilità sono quelle che vanno meglio economicamente. Cioè esportano di più, producono più posti di lavoro, crescono di più. Per dirla con una battuta: in Italia essere buoni conviene".
Sostenibilità percepita dai consumatori come qualità e amministrata dalle imprese come leva di crescita. Verrebbe da dire che per la tutela delle risorse della terra dove non sono arrivate l'ideologia e la politica sta arrivando il mercato. "Ovviamente nel mercato ci sono scontri, competizioni. E non tutto è virtuoso: abbiamo l'economia in nero e quella illegale, però sì: c'è un pezzo delle nostre imprese, in Italia più che negli altri Paesi, che anche senza la politica ha fatto dei passi avanti - dice Realacci - Sono grosso modo un terzo delle imprese manifatturiere e sono quelle più forti. Da queste dobbiamo in qualche modo ripartire, e poi se la politica si occupasse di questo. Non farebbe certo danno".
"Credo che la sostenibilità sia un obiettivo generale ed è una grande responsabilità della politica costruire politiche industriali che premino la qualità - argomenta invece Calabrò - Vedo purtroppo un crescente atteggiamento anti-imprese che considero molto negativo per la qualità della vita, per il lavoro per il benessere generale".
Ma qualità e sostenibilità comunque costano, e se i consumatori sono disposti a pagare per ottenerle, una media del 10 per cento in più, quale deve essere la risposta delle imprese? "Posso fare un esempio che è apparentemente irrituale: il vino - spiega il presidente di Symbola - L'Italia nel 1986 ebbe un trauma tremendo perché aveva scelto una strada sbagliata. Grande quantità a basso prezzo. E arrivò il metanolo: morirono 20 persone ci fu una sofisticazione criminale. Poi ha cambiato rotta: qualità legata al territorio. E oggi si produce il 50 per cento in meno del vino, ma vale sei-sette volte di più. Una scommessa per la qualità è quella che tiene assieme la qualità della vita e anche la competitività delle imprese".
"Le aziende devono potere offrire prodotti, che siano attenti alla sostenibilità e questo è un obbligo e un impegno - aggiunge Roberto Calvi, Corporate Communications & Scale Initiatives Leader di Procter & Gamble - Nel caso di P&G cerchiamo di diminuire il footprint ambientale di tutti i nostri prodotti guardando a tutto il ciclo di vita del prodotto, dalla materia prima con il quale è composto, fino alla produzione fino all'utilizzo a casa e poi preoccupandoci dello smaltimento, e del fine vita del prodotto. Questo ovviamente deve essere fatto senza trade-off, senza che il consumatore debba pagare un centesimo di euro in più per avere un prodotto più sostenibile".
Ma come si riconosce un prodotto sostenibile. Se i consumatori - dice la ricerca Ipsos - guardano ai pareri e alle segnalazioni di soggetti terzi, certificazioni incluse, le aziende puntano prima di tutto sulla comunicazione diretta, con pubblicità, con il proprio sito internet e con l'ingaggio del consumatore. Una scelta che non sembra priva di criticità.
"Se forzato è un tentativo sbagliato. Nessuno chiede all'oste se il vino è buono. E' giusto che l'impresa sia trasparente nelle azioni che fa, ma è chiaro che noi ci fidiamo di un giudizio terzo. Ovviamente a valle di criteri trasparenti - conferma Realacci - Per altro in questo l'Europa ha fatto dei passi avanti: determinate imprese devono fare un Bilancio di sostenibilità e il controllo lo fa la Consob, quindi ci sono dei picchetti. E poi bisogna che le imprese capiscano che il giudizio dei cittadini, delle comunità e dei territori è per loro la migliore polizza di assicurazione per il futuro". "Noi cerchiamo di lavorare coinvolgendo sempre dei partner - spiega Calvi - sia commerciali, sia fondazioni, o organizzazioni come il Wwf nel nostro caso. Quindi c'è una mediazione e garanzia. Una grande organizzazione come il Wwf si associa a P&G proprio perché ne riconosce i valori, e l'impegno nella sostenibilità".
Il Salone della CSR ha visto confrontarsi in Bocconi 390 relatori in oltre 80 incontri, confermadosi così il più importante evento nazionale dedicato alla sostenibilità.
A cura di Askanews