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Cinquecento anni dalla morte di Lapalice, l'uomo divenuto aggettivo

Antonio Gurrado

Jacques de La Palice cadde a Pavia nel 1525, ma un refuso lo rese immortale: da cavaliere valoroso a sinonimo di ovvietà, vittima di un errore di trascrizione più potente di mille spade

Il cinquecentenario della battaglia di Pavia segna anche il mezzo millennio dalla morte di Lapalice, l’uomo divenuto aggettivo – in italiano; in Francia invece Edmond de Goncourt coniò il sostantivo lapalissade. Un pugnace editore locale ripropone un gioiellino di Dante Zanetti, Vita morte e trasfigurazione del Signore di Lapalisse (Ibis, 143 pp., 10 euro), uscito nel 1992 per il Mulino ma di cui si era persa traccia. Jacques II de Chabannes, signore de La Palice, è un caso editoriale incarnato ed eternato, la prova anzi della maggiore potenza delle parole rispetto ai fatti, già solo per i dubbi sulla grafia corretta del suo nome, che rende parimenti valide le tre opzioni che ho usato finora. Poi per le differenti versioni della sua morte, che secondo il mostruoso Dictionnaire de biographie française, iniziato nel 1933 e tuttora incompiuto, avvenne per archibugiata durante una querelle fra spagnoli su chi dovesse catturarlo; mentre, secondo Il disastro di Pavia di Jean Giono (Settecolori, 385 pp., 25 euro), fu dovuto a sgozzamento dopo che era stato creduto morto e si era rialzato terrorizzando la soldataglia.

 

Nulla in confronto all’equivoco che ne mutò l’identità: una canzone funebre in cui si diceva che, se non fosse morto, “il feroit encore envie”, “desterebbe ancora ammirazione”, venne malamente trascritta in “il seroit encore en vie”, “sarebbe ancora vivo”, annullando decenni di eroiche imprese in battaglia e trasformandolo in antonomasia del truismo (a Pavia, fino al 13 dicembre, si tiene una rassegna di incontri su di lui curata da Gino Cervi e intitolata “Ovviamente”). Bernard de La Monnoye, poeta di corte del Re Sole, vergò ben cinquanta strofe su Lapalice che “se non si fosse sposato, sarebbe stato scapolo”, e così via; fiorì da allora una varietà di pubblicazioni in cui Lapalice viene mostrato come fanfarone o fanciullo illuso, fino a un recentissimo albo per bambini in cui Sergio Olivotti illustra i versi di La Monnoye (La Palisse: S’il n’avait pas été lui-même, il aurait été quelqu’un d’autre, Chocolat, 40 pp.,  13,9 euro): a dimostrazione di come anche le guerre più sanguinose, trascorso qualche secolo, perdono di senso e fanno ridere. Lapalissiano, no?