Quella porta spalancata sul buio. Lettera da un infernot

Marina Corradi

L’infernot, nelle cantine piemontesi, è un piccolo vano più profondo, dove invecchiavano le bottiglie migliori. “Ci sono stati tempi in cui un nascondiglio così era prezioso”, mi dissero. Già, la guerra, Roba da libri di scuola, finita, per sempre

In tempi come questi accade magari la sera, cercando di addormentarsi, di immaginare l’indicibile: che certe assurde minacce dicano sul serio.


Allora nel dormiveglia la mia coscienza imbastisce una way out: figli, nipoti, amici, cane, gatti. Via tutti. Ci troveremo nella vecchia casa in Monferrato: non sprecheranno, mi dico, costosi missili subsonici per le vigne di Barbera. Io – vado almanaccando nel buio – avrò fatto scorta di cibo in scatola. Le stanze sono larghe, ci stringeremo.


Poi, alla peggio, c’è la grande cantina, le mura spesse un metro. Umida e fredda, ma il luogo più sicuro.


Sì, immagino già quasi addormentata, nel caso peggiore andremo là sotto tutti quanti.


Domenica in campagna ho voluto controllare il mio rifugio. Umido davvero, mi dico rabbrividendo sugli scalini. Sembra di entrare nella bocca di una balena. Ci vorrebbe più luce, tante lampadine. O candele, forse – cosa più previdente.


 Ancora in fila le macchine per la vendemmia, rugginose. Ragnatele dal soffitto. E qui dietro che c’è? mi chiedo, spostando assi da una parete. 


C’è, in basso, murato con la calce, un rettangolo grande da lasciar passare un uomo. Allora mi torna in mente l’infernot. 


L’infernot, nelle cantine piemontesi, è un piccolo vano più profondo, dove invecchiavano le bottiglie migliori. Anche questa casa aveva il suo infernot: cosa fosse, me lo spiegò vent’anni fa il muratore. 


Io allora avevo fatto luce con la torcia: odore di muffa, ragnatele come sipari, e una manciata di venerande polverose bottiglie. Fruscii di topi. “Lo chiuda questo buco”, chiesi al muratore, inquieta. Lui, vecchio, sorrise: “Ci sono stati tempi in cui un nascondiglio così era prezioso”. Già, la guerra, risposi distrattamente. Roba da libri di scuola, finita, per sempre. 
Contemplo oggi il rettangolo di cemento sulla parete. Che sia il caso di riaprirlo? “Ma dai”, mi dico sulle scale, richiudendomi alle spalle la porta affacciata sul buio.
 

Tuttavia sono tre giorni, e l’Infernot continua a tornarmi in mente.