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Una fogliata di libri
Essere salvi è non essere salvati
Nel romanzo "Il prodigio" di Fabrizio Sinisi, una misteriosa faccia nel cielo sconvolge il fragile equilibrio di un'umanità già smarrita. Al centro della storia, don Luca, sacerdote disilluso e inquieto, cerca senso nel caos – forse proprio nella confusione che lo attraversa
Dostoevskij, “Delitto e castigo”: “L’eternità ci si presenta sempre come un’idea che non si può afferrare, qualcosa di immenso, di enorme! Ma perché dev’essere necessariamente enorme? E se invece non fosse che una stanzetta, una specie di bagno di campagna, affumicato, e in tutti gli angoli vi fossero ragni; eccola qui, tutta l’eternità... A volte, sapete, in sogno vedo qualcosa del genere”. Anche Marta, ragazza insopportabile che si muove tra le pagine de “Il prodigio” (Mondadori) di Fabrizio Sinisi, che sembra citare implicitamente questa frase. “Ci chiediamo sempre se Dio esiste”, blatera in taxi la logorroica fanciulla, vittima di crisi tali per cui, di colpo, non sa più dove si trova ed è necessario che qualcuno la vada a prendere. “Ma non ci chiediamo mai se Dio è intelligente. Metti che sia un pazzo!”. Ad andarla a raccattare è sempre don Luca, prete poco prete che si fa sfruttare dalla ragazza (“sono come il cornuto delle barzellette”), odia i padri separati (“i più difficili da amare”) ma ospita in residenza ventidue scalcagnati. Don Luca insegna all’università, si fa mille domande e va a pranzo col collega don Lucio. Discutono e fanno ipotesi, come tutti, sulla faccia apparsa in cielo. Sul Volto. Una specie di “smile piuttosto rozzo” che un giorno sbuca inconcepibilmente tra le nuvole della città e genera più disastri del Covid. Don Luca è presente in tv, è un uomo di questa terra ed è disinvolto quel tanto che basta da trovarsi spesso in contatto con un mondo che stenta a capire, sebbene goda della qualifica (mai di manica larga come oggi) di “esperto” – del mondo giovanile, di dottrina, di Vangelo. Ed è il personaggio centrale e più importante di questa storia, non solo perché i fatti li snocciola in prima persona, ma perché il romanzo è interessante soprattutto quando il lettore entra in contatto diretto con la sua confusione.
La faccia in cielo genera isterie individuali e di massa. Un vero e proprio assedio. C’è ovviamente chi ci sguazza. C’è chi soffre e chi non sa. Chi si tormenta e chi impazzisce. Nel frattempo Don Luca assiste a sé stesso mentre è sempre meno sé stesso, ma sempre più capace di vedere gli altri – e se fosse questa confusione, la chiave? Dei giovani che partecipano a una festa dice: “Parlano fitto e si chiamano amore e tesoro, e altri simili vezzeggiativi che io subito penso: ma quando se lo sono procurato, quest’affetto, in quali circostanze se lo sono guadagnato, di che materia è fatta questa intimità che condividono e che a me sembra oscena?” (Novecentesca illusione, che le parole significhino proprio quello che dicono). Cosa resta del mondo conosciuto? Quale verità possibile? Sono forse meglio le bugie? Del resto nessuno ha idea di che imbuto d’inferno sia un confessionale, “e di quanto schifo ci passi dentro”. Segue elenco: “Le pulsioni più meschine, i desideri più volgari, gli istinti più efferati; coniugi tornati dopo anni a penetrarsi con una frenesia mai provata prima, donne e uomini che per la prima volta hanno baciato, succhiato, leccato sessi che fino a una settimana prima li avrebbero nauseati al solo pensiero; gente che si è scoperta infilare le dita negli orifizi del proprio animale domestico o a implorare il partner di impugnare un manico di scopa e di picchiarla con quanta forza aveva in corpo”. Alla fine, esausti di noi stessi, come sempre alziamo gli occhi al cielo. Ma non tutte le buone notizie sono notizie buone. In fondo – ci dice Sinisi – essere salvi è non essere salvati.