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Una fogliata di libri - overbooking

Politica e scrittura inscindibili? Anche no

Antonio Gurrado

Contro il dogma dell’impegno: la letteratura non deve nulla alla politica. Scrivere può essere ribellione silenziosa, inutile e dunque necessaria

Politica e scrittura sono inscindibili, ha sostenuto Antonio Scurati al Festivaletteratura, poiché uno scrittore non può isolarsi dalla società e quindi dalla politica. Non so. La storia della letteratura contempla autori disinteressati all’attualità e alla militanza, capaci di scindere politica e scrittura (anche nelle più torve pieghe del Novecento: Mann e Proust, tanto per gradire); e al canone sono stati consegnati autori la cui eco travalica l’impegno, ad esempio Dante, letto tuttora nonostante che la disputa fra guelfi bianchi e guelfi neri abbia smesso di appassionarci da qualche tempo. In Leggere libri non serve (Bompiani) Enrico Terrinoni suggerisce una buona soluzione di compromesso. In brevi lezioni ritrae sette autori (Bruno, Shakespeare, Blake, Wilde, Woolf, Joyce, Svevo) che hanno reso la letteratura strumento del proprio “non servire”, nella duplice accezione dell’essere inutili e dell’echeggiare il “non serviam” di Lucifero ribelle.

Allievo di Declan Kiberd, Terrinoni ha il grande vantaggio di essersi formato all’estero, restando esente tanto dalla filologia ottusa quanto dall’esegesi partigiana che caratterizzano buona parte di accademia e critica in Italia; ciò gli consente di farsi fautore dell’apparente contraddizione fra ribellione e inutilità. Siamo abituati a contrapporle: la ribellione è organica, i preziosismi stilistici sono inutili. I sette autori in questione, invece, sono stati dei gloriosi fallimenti il cui stile si è rivelato autenticamente rivoluzionario proprio perché ha sovrastato l’impegno diretto. Ne La letteratura come materia oscura (Treccani) Terrinoni aveva rivendicando il paradossale primato della letteratura “quantistica”, un entanglemet di simultaneità, occultamento, silenzio e indeterminazione che è l’opposto della militanza, dei manifesti e degli appelli. Poi, certo, i Blake e i Wilde restano una minoranza, in un contesto in cui si vende di più facendo letteratura a colpi di slogan preconcetti. Io però, francamente, di una letteratura deterministica non so che farmi; se proprio volessi interessarmi di politica e società, non avrei bisogno di scrittori. Guarderei un tg e poi uscirei di casa.

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