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Una fogliata di libri
Essere capaci di lasciarsi sorprendere
Carola Susani, nella sua nuova raccolta di versi "C'è un'altra!", riesce ancora una volta a non precipitare nel pittoresco. I temi dell'infanzia e dell'innamoramento danno slancio al canzoniere. La vicinanza a Morante, Cavalli e Bellezza nello stile
Chi ha letto i romanzi di Carola Susani ne conosce l’abile lavoro di cesello, il sapore di leggenda biblica o epica in abiti contemporanei. Come altri narratori di mestiere, Susani ha presto intuito che doveva evitare lo pseudorealismo da sceneggiatura, ma anche che non aveva un sicuro altrove verso cui dirigersi: toccava quindi deformare i presupposti naturalistici dall’interno, straniarli in modo solenne e grottesco, in una prospettiva sacra o infantile. Ma occorre molta misura per non precipitare nel pittoresco, in un estetismo facile magari mescolato a un facile civismo. Il gusto della scrittrice le ha permesso di fermarsi sul limite. E’ interessante, in questo senso, fare un confronto con la sua raccolta di versi da poco uscita per Marietti. Il titolo, ambiguo e guascone, è “C’è un’altra!”; e si tratta di un nuovo esordio. Qua e là s’incontrano forse dettagli acerbi, o un mestiere meno sicuro; ma spesso il premio consiste in una risoluzione più naturale dei problemi posti dalla narrativa. Anche qui, come nei romanzi, si trova la traccia di un’infanzia eccezionale, comunitaria, che continua a trasmettere a Susani il suo slancio rivoluzionario e messianico, amorosamente capitiniano.
In due poesie speculari, un Io poetico bambino osserva dall’alto e dal basso le faccende dei grandi, le loro velleità ideologiche totalizzanti. Prima, in mezzo ai manifestanti, salita sulle spalle di un adulto, scruta agitarsi al vento le bandiere colorate: “Già allora io pensavo: / sono così piccoli i grandi / che finirà male”; poi ricorda che “il tavolo / lo guardavamo da sotto / e ci sembravano / ingenui, disposti / a vendersi l’anima in cambio / del desco, dello starci attorno”, quei grandi-piccoli il cui meglio erano le canzoni – ossia una fantasticheria del cambiamento destinata a esaurirsi in sé stessa. Qualcosa di simile avviene col tema più intimo dell’innamoramento, sentimento che dà slancio al canzoniere e che una ragione implacabile inchioda come uno spillo. Sia l’amato che la comunità esigono un uguale pathos della distanza, perché sono insieme due utopie e due minacce. E quando ha svolto la sua funzione l’amato viene fagocitato mentalmente, cioè annullato. La vendetta sull’amore impossibile è una vendetta su di sé, sulla propria folle irrealtà vissuta come reale. Siamo in zona Morante, anche nello stile: lo rivelano la pronuncia infantilmente canzonatoria e nobilitante, e la protervia con cui l’Io finge di trionfare mentre finge di arrendersi alla nuda verità. Morante, ma anche Patrizia Cavalli – per il verso a volte “buttato via” con elegante trascuratezza, per la rima che sigilla orgogliosa il testo e per gli esclamativi, e per l’alternarsi di un’euforia e una disforia determinate da qualche segno appena intravisto oltre i vetri di casa, in un cosmo che si confonde con la cucina come la divinità si confonde coi passanti: “Se mi distraggo un momento / povera cosa, / quasi niente mi sento; / che fatica, che scena / la coscienza di sé”. Qui la crasi è tra Cavalli e Betocchi.
Ogni tanto, in certo lirismo esibito, si avverte anche la lezione di un altro penniano eretico, Dario Bellezza: “ho amori invalidanti, veri / perché poetici” scrive ad esempio Susani; e qui “veri” non si distingue da “falsi”. Due figure giocano in lei alla dissolvenza reciproca: l’innamorata di adulteri metafisici e la moglie silenziosa. Ma più che sul loro scambio di ruoli, l’attenzione si fissa sullo scambio di energia per cui la proiezione di un amato irraggiungibile alimenta la produzione letteraria, la gioia dell’autonomia. Susani conosce bene la violenza che costa essere vitali, o poeticamente vampiri, e non la demonizza né la rimuove. Per questo “C’è un’altra!” ci appare anche come un manuale di dialettica in versi; non il violino d’Ingres, ma il risultato sicuro di una scrittrice che sorprende perché è capace di lasciarsi sorprendere.

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