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Una fogliata di libri

Storie vere e mezze inventate

Antonio Gurrado

Il lettore contemporaneo inciampa nel bisogno di realtà, in bilico tra realtà e finzione. Ma se una storia è bella, ha davvero importanza che sia vera? 

Nel 2009, Ricky Gervais aveva scritto “The Invention of Lying”, un film ambientato in un mondo in cui non esistevano le bugie e, di conseguenza, non esistevano i film: cioè, esistevano, ma erano solo documentari. La gente si assiepava al cinema per guardare accademici che, inquadrati su fondo neutro, raccontavano blockbuster come la peste del Trecento o la svalutazione della rupia; era inimmaginabile concedersi un “Via col vento” o un “Titanic”, mancando il concetto di “storia inventata”. Ai giorni nostri, stiamo realizzando con grande serietà questa ridicola distopia. Lo scorso anno è uscito “The Salt Path”, un film con Jason Isaacs e Gillian Anderson tratto dall’omonimo romanzo di Raynor Winn, Il sentiero del sale (Feltrinelli, 320 pp., 13 euro): è la storia di una coppia che subisce una frode finanziaria e si ritrova a vagare senza alcuna proprietà.

A inizio luglio, tuttavia, l’Observer ha dedicato ben quattro pagine di inchiesta a “The real Salt Path”, con dettagliata disamina delle differenze fra la storia raccontata dall’autrice e quella vera: Raynor Winn si chiamerebbe Sally Walker, suo marito Moth sarebbe Tim, sarebbero colpevoli anziché vittime di frode e, lungi dall’essere nullatenenti, avrebbero una casetta dalle parti di Bordeaux. Ora, da lettore innocente, non ho elementi per stabilire da che parte stia la verità; soprattutto, non deve interessarmi farlo. Trecento anni fa, Daniel Defoe presentava Robinson Crusoe o Memorie di un cavaliere come resoconti veritieri e l’evenienza che fossero inventati non gli ha precluso il successo contemporaneo e postumo, poiché bastava fossero verosimili.

Oggi Defoe si troverebbe impelagato in un contesto in cui gli editori scrivono ancora “una storia vera” sulla bandella per accattivarsi il pubblico, ma i lettori pretendono davvero che la letteratura sia vera verità. Progressivamente incapaci di distinguere fra io lirico e persona giuridica, fra reinterpretazione della realtà e referto di un brigadiere, si concentrano sulla possibilità che Raynor Winn possa essere una millantatrice, convinti che la sua storia meriti di essere letta solo se vera; non pensano che, se la stessa storia fosse inventata, sarebbe ancora più bella.

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