
Ansa
Una fogliata di libri - overbooking
Scrittore e politico, evoluzione d'un rapporto
Un secolo fa era Salvemini contro Giolitti, oggi è Saviano contro Salvini. Ma forse lo scontro rivela più la fine dei due ruoli che la forza delle idee
L’evoluzione di due ruoli novecenteschi, scrittore e politico, appare lampante nella querelle che ha contrapposto in tribunale Roberto Saviano e Matteo Salvini. Nel 2018 il dissidio nacque attorno a una frase dell’autore napoletano che l’allora ministro dell’Interno ritenne lesiva dell’onorabilità individuale e istituzionale. Vi si diceva che Salvini poteva essere definito “ministro della Malavita”, aggiungendo un cauto “espressione coniata da Gaetano Salvemini”. Salvemini aveva gratificato Giolitti di tale lusinghiera definizione in un libro uscito nel 1910 per la Edizione della Voce: si trattava in realtà di una raccolta di testi e scritti anche altrui, intitolata appunto Il ministro della mala vita. Notizie e documenti sulle elezioni giolittiane nell’Italia meridionale. Il riferimento è alle elezioni del 7 marzo 1909, cui Salvemini partecipò attivamente, sia tenendo comizi a Bari, sia seguendo con attenzione la campagna elettorale nell’entroterra, come spiega Sergio Bucchi introducendo la riedizione più recente (Bollati Boringhieri, 272 pp., 18 euro); ne trasse un lungo articolo per l’Avanti!, intitolato L’opera del governo nel Mezzogiorno, che costituì il nucleo teorico del più celebre volume.
Fra cent’anni, chi ricostruirà invece la diatriba di Salvini con Saviano sarà costretto a notare come quest’ultimo abbia pubblicato la frase incriminata non in un articolo, non in un libro, come si converrebbe a uno scrittore, bensì in un post sui social, ossia un contesto in cui tutti possono essere scrittori perché nessuno lo è; la stessa frase avrebbe potuto essere scritta da un passante e il ministro avrebbe potuto trascinarlo in tribunale, senza che ciò lo rendesse emulo di Salvemini. Pare in realtà che dietro la lite si celi la promessa fatta da Salvini in campagna elettorale, nel 2017, di togliere la scorta a Saviano non appena fosse andato al governo, cosa che però non si è verificata. In questo sta l’inquietante parallelismo nell’evoluzione dei ruoli di politico e di scrittore: fare sparate senza dare seguito, fare promesse e non mantenerle, è la dimostrazione che viviamo immersi in un contesto in cui tutti possono essere politici, perché nessuno lo è.