Una fogliata di libri - overbooking

L'impareggiabile Milano di Santucci

Antonio Gurrado

Mondadori riedita Orfeo in Paradiso. Quella raccontata dallo scrittore è una città lirica e senza tempo, tra amore, morte e memoria urbana. E torna viva in un classico che sa rigenerarsi

Ogni tanto, una bella notizia: Mondadori ha riedito negli Oscar "Orfeo in Paradiso" di Luigi Santucci (228 pp., 13 euro; presentazione l’8 maggio alla Società Umanitaria di Milano, ore 18). E’ il romanzo che nel 1967 segnò il passaggio dell’autore dall’intimismo ironico delle prime opere – aveva esordito con l’umoristico  In Australia con mio nonno  – a una riflessione visionaria e paradossale sui grandi temi: “la morte è sempre la morte degli altri”, “l’amore vero è già previsione del distacco”. Soprattutto, però, di Santucci è amabile la descrizione della città in cui è nato e ha a lungo insegnato al liceo, una Milano che “ramifica, dalla grande ceppaia del Duomo, in una civile foresta”. E’ forse per questo che la nuova edizione reca in copertina una foto in cui l’ombra del Duomo (che, diceva Marcello Marchesi, sembra gocciolare all’insù) si allunga fino al monumento equestre al centro della piazza; la prima edizione indossava una sovracoperta con un dettaglio dell’“Angolo di parco”  di un pittore svizzero, Félix Vallotton, che nulla c’entrava con Milano ma ben riproduceva l’atmosfera  fin de siècle  narrata nel romanzo. E’ come se l’interesse per Santucci sia traslato dal tempo allo spazio: ci interessa un po’ meno come raccontava gli eventi e un po’ di più come descrive i luoghi. E’ un destino felice, segno che il libro non invecchia ma si rigenera, come per numerosi altri classici milanesi: l’Alberto Savinio di  Ascolto il tuo cuore, città; il Giuseppe Marotta che, in  A Milano non fa freddo, racconta gli inurbati che allungano le mani verso la chiesa di San Fedele “come verso un caminetto, e nessuno bada a voi se in un certo senso ve ne riscaldate”; il Massimo Bontempelli che, ne  La vita operosa, chiede a tutti dov’è via Belloveso e poi   s’indigna  perché “a Milano non c’è una via, una piazza, un corso, un viale, un bastione, un monumento, un vicolo, un portico, un caffè, una scuola, un postribolo, che sia dedicato al nome di Belloveso, (…) il Romolo e Remo di Milano” (adesso c’è, verso il Niguarda). Saperlo è incoraggiante per chi scrive a Milano adesso, magari inizia proprio oggi. Se si guarda attorno, anziché l’ombelico, potrebbe trovare lettori anche fra qualche decennio.