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Lo scrittore non è il secchione della classe

Antonio Gurrado

Liberate Fabio Genovesi dal Giro d’Italia: uno dei più promettenti scrittori italiani commenta il ciclismo in Rai, sempre più confinato a un ruolo da pro loco imbizzarrita. Un problema di comunicazione culturale su vasta scala

Questo è un appello: liberate Fabio Genovesi dal Giro d’Italia. Si verifica infatti l’incresciosa situazione per cui una delle corse più affascinanti dello sport più bello, combinata alla presenza di uno dei più promettenti scrittori italiani, finisca per dare un risultato dissonante. Genovesi commenta il ciclismo per la Rai da cinque anni, ma sempre più confinato a un ruolo da pro loco imbizzarrita, che riferisce del record del cucchiaio di legno più grande del mondo o delle tre settimane di ininterrotta sagra del porcino, quando non da residuato dell’Almanacco del giorno dopo, che sciorina i picchi negativi di temperatura registrati sulle nostre cime.

 

Non è colpa del Giro e nemmeno di Genovesi, beninteso, che commenta il ciclismo perché dalla sua passione sono sbocciati, delicati e arguti, un romanzo (Cadrò, sognando di volare, Mondadori, 312 pp., 13,5 euro) e un saggio (Tutti primi sul traguardo del mio cuore, Solferino, 213 pp., €12 euro). Temo dipenda invece dal ruolo presunto dello scrittore; l’idea che chi scrive lo faccia in quanto detentore o di una morale (donde gli altrui monologhi sentenziosi che gravano su parti differenti del palinsesto) o di un sapere da esercitare alla stregua di manuale ambulante e spigolatura della Settimana enigmistica. Che sia insomma una specie di precettore, del cui nozionismo acrobatico stupirsi nei momenti di noia, accantonandolo quando il gioco si fa duro. Quest’equivoco costituisce un problema di comunicazione culturale su vasta scala, poiché già un evento di nicchia come il posticipo di Serie C su Rai Sport coinvolge un numero di spettatori superiore a quello delle copie da vendersi per vantare un successo editoriale; figurarsi il Giro, che trasforma in domenica ogni giorno della settimana e viene seguito da un milione e mezzo di fedelissimi, in una nazione in cui solo sei milioni di abitanti leggono un libro al mese. Ai telespettatori sarebbe bello far capire che lo scrittore non è il secchione della classe ma chi nota il dettaglio inconsueto, trova la parola giusta, agghiaccia gli entusiasmi e ravviva l’ordinario; che lo scrittore e lo sport non devono stare su scaffali distinti, perché entrambi colorano la realtà.
 

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