Lettera da una ruota

Un sisma dalle parti del cuore

Marina Corradi

La mia casa non era semplicemente cambiata, era stata demolita. La suite di un hotel di lusso: altrettanto gelida. Le nostre stanze, in discarica

Era un palazzone costruito da una cooperativa di giornalisti a Milano, anni Cinquanta, inizio del boom. Davanti alla vecchia stazione delle Varesine, ancora affiancata da piccoli alberghi un po’ loschi. Dieci piani, un cortile senza sole, materiali economici: ma che giorni, al trasloco, mi raccontarono. Una casa propria, dopo la guerra, col riscaldamento, e anche i garage per l’auto, che ancora non aveva nessuno. Ci si aiutava a portar su per le scale i primi frigo americani.


Al sesto piano, la camera di noi bambine era esposta a nord, e con il vento a marzo pareva di decollare; c’era un bagno striminzito, e un salotto buono, solo per gli ospiti, e, a Natale, per l’albero. Unica bellezza la grande vista sui binari delle Varesine dismesse, e un balcone che mia madre aveva trasformato in una giungla fiorita. Pareva tutto a posto in quella casa, tre bambini, e in trent’anni il mutuo lo si sarebbe pagato. Andò malissimo invece, ma questa è un’altra storia.


Quando mia madre morì, vendemmo la casa. Davanti, sbaraccato un Lunapark, già scavavano le fondamenta dei grattacieli di Porta Nuova: cancellarono l’ampio orizzonte a ovest, dove d’estate il sole calava, rosso come il fuoco.


L’altro giorno, passando per caso, ho notato sul portone un “Affittasi”. Ho cercato sul web: era proprio la mia ex casa, per 2.500 euro al mese. Foto: parquet pregiati, l’evidente opera di un architetto infelice, in un misto di Brianza e design d’imitazione. Tutto, però, vistosamente costoso. Nessuna traccia di un bambino, di una libreria, di un calendario in cucina. Ho avvertito bene un sisma, dalle parti del cuore.

 
La mia casa non era semplicemente cambiata, era stata demolita. La suite di un hotel di lusso: altrettanto gelida. Le nostre stanze, in discarica. Normale, certo. Le città si disfano, con i loro vecchi abitanti, e si rifanno. E’ come una ruota ogni città, gigante, lenta, che infine ti lascia cadere. La novità, è che ora so di essere sulla ruota: come su quella del Lunapark delle Varesine, da bambina, quando arrivavi in basso, ed era ora di scendere.