una fogliata di libri

Alzarsi

Alessandro Litta Modignani

La recensione del libro di Helga Schubert, Fazi, 194 pp., 18 euro

Sono figlia della guerra, figlia profuga, figlia della Germania divisa. Ancora oggi, trent’anni dopo il 9 novembre 1989, dallo scompartimento del treno vedo il confine di allora in tutta la sua concretezza, nella striscia della morte i cespugli e gli alberi sono ancora più giovani, piantati soltanto DOPO. Il 9 novembre 1989 ero alle soglie dei cinquanta e non avevo ancora mai espresso un voto libero. Potrei raccontare quella giornata come testimone davanti a un tribunale: che cosa ho visto e sentito e pensato. Prima e anche nel tempo che è seguito. Ora per questo non esiste più un tribunale terreno: Tranne l’omicidio, tutto è caduto in prescrizione”.
Nata a Berlino nel 1940, orfana di padre a due anni, profuga con la madre a quattro, Helga Schubert narra con prosa malinconica e un uso personalissimo della punteggiatura, la propria autobiografia di scrittrice nel mondo opprimente e invasivo della Ddr.
Schubert racconta dei permessi di recarsi all’estero, e dei suoi ostinati e puntuali rientri, “di là dalla cintura minata”. Nel 1980 riceve nella Repubblica federale il premio Ingeborg Bachmann, nel 1983 il premio Fallada, prestigiosi riconoscimenti che è costretta a rifiutare. Legge i rapporti che i solerti spioni  governativi redigevano sul suo conto. Dopo la caduta del Muro, il funzionario incaricato per quattordici anni di seguire il suo dossier, le chiede scusa, dicendo di provare vergogna e rimorso. Ma afferma di non avere mai temuto linciaggi o ritorsioni, perché aveva capito che le persone sorvegliate non volevano altra violenza, solo un ordine politico e sociale diverso.

 
“Il Muro non c’è più. Il Muro non c’è più, era scritto sul muro di sbarramento. Come si fa, una cosa del genere, anche solo a pensarla”.
Accanto a queste ricostruzioni, riaffiorano i ricordi dolci delle trasferte in campagna della nonna, ma soprattutto gli scontri con la personalità dura e anaffettiva della madre, la vera figura dominante del libro, tratteggiata con sentimenti contrastanti di affetto e rancore. “Ho compiuto tre imprese eroiche che ti riguardano. La prima: non ti ho abortito, anche se tuo padre voleva che lo facessi (…) La seconda: quando siamo fuggite dalla Pomerania a Greifswald, ti ho spinta in una carrozzina a tre ruote fino allo sfinimento. E la terza: quando i russi sono entrati a Greifswald, non ti ho avvelenato né sparato. Tuo nonno pretendeva da me che mi avvelenassi o mi sparassi (…) Allora dovrei prima uccidere mia figlia, ho detto io a tuo nonno, ma non posso farlo. Quindi ti ho lasciata vivere”. 
 

Alzarsi
Helga Schubert
Fazi, 194 pp., 18 euro