Elaborazione grafica di Enrico Cicchetti 

Le sfumature buie dell'amore viste con occhi di donna

Giulia Ciarapica

Nelle storie che ci regalano le “Affatturate”, c’è una visuale fuori dagli schemi

In un saggio incompiuto del 1910 Sibilla Aleramo scrive: “Nella letteratura femminile italiana (…) le poetesse e le romanziere ci esprimono una psicologia essenzialmente maschile, ci dànno cioè dell’esistenza e della coscienza un’interpretazione perfettamente analoga a quella che ci dànno gli uomini”. A conti fatti, ciò contro cui Aleramo punta il dito è non solo una deficienza di contenuto originale ma anche un punto di vista inficiato dalla cultura patriarcale.

 
Non che il rimprovero sia errato ma è pur vero che un’antologia come quella di Rina Edizioni, dal suggestivo titolo “Le affatturate”, può in parte smentire – o più che altro rivedere – la posizione della scrittrice alessandrina – che pure riconosceva il talento autodidatta di Grazia Deledda, Matilde Serao e Neera.

 
Proprio questi sono i nomi, assieme ad altri diciannove (Vivanti, Haydee, Messina, Invernizio e via discorrendo) tutti collocabili tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento, che ritroviamo in una raccolta cui si deve un grande riconoscimento: quello del recupero, che non vuol dire solo riportare alla luce voci seppellite o talvolta sconosciute al grande pubblico ma anche ridare linfa a un modo di vedere le cose, alla potenza di certe parole che, al netto dell’epoca, hanno una portata assoluta e per nulla convenzionale.

 
Ecco perché “Le affatturate” diventano essenziali. In loro, nelle storie che regalano, c’è una visuale fuori dagli schemi, nello specifico una panoramica del tema amoroso che in nulla coincide con ciò che lo scrittore (uomo) ha sempre raccontato fino ad allora. Le sfumature dall’amore diventano improvvisamente buie, ostili, drammatiche, e sono le donne a dircelo: c’è l’amore nero di Grazia Deledda e di Carolina Invernizio, che culmina in violenza omicida; c’è il conflitto madre-figlia de “L’oscura passione” di Carola Prosperi; c’è il sarcasmo spietato e disilluso di Regina di Luanto, ma anche la gelosia, la voglia di emancipazione e poi la conseguente solitudine, il senso di abbandono della Paolina di Neera. C’è il mondo non per come appare ma per come è. I livelli di lettura sono molti, come spesso accade, ma il filo conduttore è uno soltanto: “Non come tu mi vuoi, perché adesso dico la verità”.

 
Una verità che nasce nell’unico luogo possibile, quello abitato dalle donne, piccolo, minuto e intimo: la sfera famigliare e privata. Uno spazio talvolta inviolabile, che ha sempre consentito loro di esistere ma che al contempo le chiudeva in un recinto prontamente sminuito dalla prepotenza maschile. Fragili e subalterne, così venivano percepite, senza che alcuno si rendesse conto che è proprio dalle cose minuscole e dagli anfratti più scuri che sbuca il dolore di una vita intera, quella che spesso noi chiamiamo letteratura.

 
Ed è sempre da lì che viene svelato il lato oscuro della psiche femminile, espresso anche nella facoltà di mettere in discussione il materno: vengono meno la qualità della cura e della dedizione, perfino dell’accudimento, tópoi secolari che implicano un’implicita valenza sacrificale che confina la donna negli spazi della sfera privata ma con pesanti risvolti di esclusione e disuguaglianza. Non è una ribellione in atto quella delle Affatturate, quanto piuttosto una presa di coscienza e sì, anche di posizione. Confinata e sconfitta ma non privata dell’abilità più grande: la donna parla e quando lo fa grida cose minuscole che smuovono maree.