Elaborazione grafica Enrico Cicchetti

Una fogliata di libri

Il poeta che mette assieme questo e ogni altro mondo

Daniele Mencarelli

Un guastatore. Armato di parola e sguardo. Un pazzo che segna bianco su nero. Che divide quelli bravi, pochissimi, dagli eserciti di improvvisati, incapaci, scribacchini. Odiato in misura spesso ossessiva, oppure adorato al pari di un animale rimasto solo al mondo, l’ultimo esemplare di una razza estinta per sempre. Per raccontare Davide Brullo si potrebbe continuare con le iperboli all’infinito, ma si correrebbe un rischio capitale, lo stesso che corre lui, perché il personaggio Brullo è altra cosa dal poeta che abita da sempre nelle sue mani, e di personaggi ne abbiamo bisogno, certo, in questo desertificato ambiente letterario, ma avremo sempre, sempre, più bisogno di poeti veri, di scrittori che nel proprio gesto mettono per intero la loro vita, che sono pronti a scommettere su quella misura mai del tutto nota che si chiama talento.

 

Perché Davide Brullo, milanese di nascita, venuto al mondo nell’anno 1979, è innanzitutto uno dei migliori poeti in circolazione, non di meno, uno straordinario narratore. Anche i suoi più acerrimi nemici, la lista è lungo qualche chilometro, off the record, ammettono che la prosa di cui è dotato è seconda a pochi, anzi, pochissimi. La sua produzione, che sia poetica, saggistica o narrativa, e i libri che ha dato alle spalle iniziano a essere parecchi, corre sempre sul filo della doppiezza, da una parte la verità, dall’altra la finzione, l’una e l’altra immancabilmente saldate nel gesto della scrittura. Perché in scrittura l’una e l’altra sono la stessa cosa. In tal senso, si cita lo splendido “Pseudo Paolo. Lettera di San Paolo apostolo a San Pietro” (Melville Edizioni) dove il nostro costruisce, ad artificio, il ritrovamento di una lettera vergata da san Paolo e diretta a san Pietro in cui si rinnova il conflitto di sempre tra fede amorosa e chiesa secolare. Oppure “Un alfabeto nella neve” (Castelvecchi), un epistolario che unisce idealmente due fra le più grandi voci russe di sempre: Boris Pasternak e Marina Cvetaeva.

 

Brullo costruisce il falso per dare voce al vero, riprende in tal senso una tradizione oggi dispersa. Ma in questa sede non si vuole nemmeno parlare del Brullo saggista-narratore. Inventore di storie parallele alla Storia. E’ il poeta che qui si vuole stanare e inchiodare al muro. Quello che comincia, assieme a tutta una generazione: i nati negli anni 70, dentro al crepuscolo di un millennio intero, che muove i primi passi all’interno di quelle riviste letterarie affacciate sul limitare della loro vita di carta. Atelier, diretta da Giuliano Ladolfi e Marco Merlin, di cui Davide fu a lungo collaboratore. E’ sempre con le Edizioni Atelier che pubblicherà la prima raccolta personale: “Annali, 2004”. Seguito poco tempo dopo, siamo nel 2007, da “L’era del ferro”, Marietti 1820. Due libri che segnano la nuova poesia italiana di quegli anni e che evidenziano l’unicità di questo autore. E’ di poche settimane fa l’uscita, con Nino Aragno editore, di una sua versione dei Salmi. Attorno a questa materia, Brullo aveva già lavorato in passato. Come coglie giustamente Cesare Cavalleri, nel testo che compare in una delle bandelle del libro, questa traduzione va a confrontarsi con un’altra rimasta nella memoria letteraria del nostro paese. Quella di Guido Ceronetti. Cavalleri ammette senza timore alcuno che “la nuova versione curata da Brullo tiene testa egregiamente, e ben spesso prevale” rispetto alla ceronettiana. E Cavalleri ha ragione da vendere. Leggere i Salmi di Brullo è un’esperienza che mette assieme questo e ogni altro mondo.

 

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