Le brigate

La recensione del libro di Ariel Luppino, Arcoiris, 168 pagine, 13 euro

    Non conosco lo spagnolo, ma leggendo Le brigate di Ariel Luppino ho scoperto per esempio cosa sia un quita-penas. Si tratta di un pugnale da combattimento, a forma triangolare. Serve a dare il colpo di grazia all’avversario morente. Quasi un atteggiamento misericordioso. Ora so anche a cosa serva una picana, quel pungolo elettrico originariamente utilizzato dai gauchos per orientare e disciplinare il bestiame, divenuto poi famoso come attrezzo di tortura sotto il regime militare di Videla. L’uso che ne fa il Milite, individuo demoniaco e insieme capriccioso che aleggia perverso sui capitoli del libro, rasenta l’inaudito.

     

    Nel primo capitolo tortura una donna: la moglie di un carrettiere. Testa la sua resistenza ai colpi elettrici. Ma non basta, la tormenta con un cavo collegato alla batteria; le infila nella bocca un topo: “La moglie del carrettiere inarcò la schiena come un gatto, quando ricevette quella scarica; allora il Milite le spinse un topo in bocca e aumentò il voltaggio”. La frase successiva è cadenzata da un unico vocabolo che si riproduce per sei righe. Sei righe in cui il topo continua a “mordere e mordere”. Il tempo della lettura causa una spaventosa espansione, come l’effetto di una nota prolungata capace di provocare improvvisamente uno stato di malessere. Questa semplice ripetizione testuale, una sorta di gigantesca anadiplosi, simile a un mantra, funziona per addizione. Crudele, scandisce un movimento. E’ qualcosa che ci porteremo appresso, tra le ellissi che spostano la narrazione.

     

    In una Buenos Aires spettrale in cui vige lo stato di eccezione, una banda sevizia e tortura prigionieri. E’ comandata dal Milite, impeccabile ballerino di tango dalle lunghe unghie posticce, figura dissoluta e scellerata, fanatico peronista che si aggira impugnando il quita-penas. Ci muoviamo in un centro di detenzione, tra sotterranei, stanze con pareti metalliche illuminate dal flash intermittente della luce elettrica; frequentiamo uno spazio chiamato Acquario, che funge da bordello, teatro anatomico, manicomio.

     

    Un prigioniero, detto il Matematico, ex hacker in contatto con gli alieni, è sottomesso, assoggettato agli ordini perversi ed eccentrici che il Milite gli commina. In passato è stato un lettore del Mein Kampf, da cui estraeva significati inediti. E’ lui a narrare le vicende; ne è il testimone e il protagonista (in un flashback scopriremo che è uno scrittore), mentre un virus misterioso, trasmesso dai topi, colpisce la città. Strane macchie compaiono sulla pelle se sfregata con la saliva.  Durante l’incubazione accadono strane forme di glossolalia (Luppino deve aver letto Burroughs).

     

    Feroce parabola distopica, ne Le brigate la declinazione furiosa delle sregolatezze sembra far leva su un principio qualitativo, come se ne dovessimo calcolare la forza, la spiazzante ricaduta romanzesca. Sade approverebbe, rubricando la questione tra le specie di cose che turbano l'esistenza. (Rinaldo Censi)

      

    Le brigate

    di Ariel Luppino,

    Arcoiris, 168 pagine, 13 euro