Lei

Giorgia Mecca

La recensione del libro di Nicolò Targhetta, Becco Giallo, 256 pp., 17 euro

A me era sembrato di aver seguito tutte le istruzioni. Sono stata coraggiosa e gentile, audace e comprensiva. Ho rispettato i turni di parola, ho detto te lo giuro e va bene, mi importa, non importa, mi dispiace. Ho chiesto scusa. Sono stata felice, appagata, infatuata, speranzosa e ottimista proprio nei momenti giusti. Ho detto anch’io. Ho detto ti amo”. Lei è appena stata lasciata dal fidanzato dopo cinque anni di convivenza. Improvvisamente si ritrova da sola, con un appartamento da sgomberare, un sacco di spazio vuoto, il tempo spezzato a metà: “Come abbiamo fatto a mescolare così le nostre vite, a permettere che si confondessero tanto?”.

 

Lei si lascia cadere, inciampa su se stessa, parla da sola, non riesce a pronunciare il nome dell’uomo che l’ha tradita, va avanti come riesce, rassegnata alla perdita dell’equilibrio, a un miliardo di promesse non mantenute, ai trent’anni che non risolvono niente. A volte si ferma, trattiene il respiro. La vita continua, sempre, anche quando fa un male cane. Lei perde tutto insieme, anche il lavoro, incassa sconfitte e dispiaceri e le faremo sapere mai avverati ai colloqui. Ogni volta sente un dolore che non la uccide, al massimo la costringe ad arrendersi, per un po’. Si affida allo Xanax e alle benzodiazepine. Parla anche con loro. “Tornerò come nuova?”, chiede a un flacone mezzo vuoto. “Neanche per idea. Ma ti faremo stare in piedi. La luce sarà spenta ma funzionerai ancora”.

 

Non è obbligatorio non essere infelici. La donna ha un passato da smaltire e un’amica che è quasi sempre allegra perché è quasi sempre triste; Silvia incontra solo uomini che le fanno di tutto tranne che amarla e quando lei si trova letteralmente in mezzo a una strada con quattro cose in una valigia, tutta la sua vita fino a quel momento, Silvia la accoglie in casa sua, senza dire una parola. “Quando le aveva chiesto se poteva sistemarsi per qualche giorno a casa sua, Silvia aveva detto di sì. Non quando, non perché o per quanto tempo. Sì. Solo sì”.

 

Seguono mesi di Tinder e di nostalgia, rancori e va tutto bene come risposta, carte di credito senza credito, silenzi cosmici e lunghi minuti in piscina, in apnea, sott’acqua. “Avevano dovuto sfiorarsi, toccarsi, baciarsi e prendere treni, e salire scale, e fare cene, e fare sesso e pieni di benzina e pause sigaretta e tagli di capelli, camicie da lavare e guarda che bel tramonto e guarda che bella giornata e guarda cos’hai combinato e vaffanculo, no vaffanculo tu, e che fai adesso piangi? Dirsi cose brutte e poi dirsi cose peggiori, tutto solo perché volevano vedersi svegliare. Aprire gli occhi, guardarsi, sorridere”.

 

Tutti parlano di felicità: manuali, professori, mental coach, haiku. Ma non esiste soltanto lei, ci sono anche la vergogna, la paura, l’euforia, sensazioni senza nome che ci fanno essere altruisti, gentili con gli altri, orgogliosi, che ci fanno ripartire quando siamo pronti. “Te lo insegnano a nuoto. Se qualcosa va storto, se ti prende un crampo, se improvvisamente ti rendi conto che non ce la fai più, non fare più niente. Non farti prendere dal panico, non agire d’impulso. Questo perché la gente pensa che se smetti di nuotare cominci ad affogare. Ma non è vero. Se smetti di nuotare cominci a galleggiare”. 

 

LEI
Nicolò Targhetta
Becco Giallo, 256 pp., 17 euro

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