Attila l'Unno

Maurizio Schoepflin

Recensione del libro di Mirko Rizzotto edito da Graphe.it (200 pp., 15 euro)

Arturo Solari, importante storico dell’antichità vissuto tra il 1874 e il 1951, era convinto che Attila non fosse stato soltanto un “flagello di Dio”, e nel 1930 lo scrisse nella voce dell’Enciclopedia Treccani dedicata al condottiero unno: “La tradizione contemporanea giudicava Attila superficialmente, considerandolo, pur non dandosene ragione, come l’uomo nato a sconvolgere il mondo e rappresentandolo come un cieco conquistatore di null’altro avido che di dominio e di distruzione. Dallo studio dei fatti si è invece autorizzati a giudicarlo diversamente”. Mirko Rizzotto concorda solo in parte con Solari, convinto com’è che Attila, sebbene non sia stato un mostro, non fu neppure quel campione di saggezza e di umanità che alcune testimonianze di scrittori antichi lascerebbero intendere. Il capo degli unni amò la guerra più della pace e il suo atteggiamento si dimostrò sempre minaccioso e caratterizzato da terribili e immotivati scoppi d’ira; pur di raggiungere i propri fini, non esitò a ricorrere alla menzogna e a lanciare accuse infondate; e in un’epoca per la verità avvezza a simili pratiche, non si sottrasse all’uso di efferate torture, impalamenti e crocifissioni. Per circa quindici anni, Attila tenne sotto scacco l’Impero romano che – non bisogna dimenticarlo – stava paurosamente declinando, ma che nel 451, per merito del generale Ezio, riuscì a sconfiggerlo nella famosa battaglia dei Campi Catalaunici, presso l’odierna Châlons-en-Champagne, nella Francia settentrionale. Attila morirà due anni più tardi, nel 453, non ancora sessantenne, essendo nato nel 395: dopo la sua scomparsa, il grande regno da lui fondato andò rapidamente in frantumi, dal momento che a sostenerlo era la carismatica personalità del capo, “un uomo politico intelligente e spregiudicato, che seppe costruire intorno alla propria fama una nazione vasta, temuta e potente”. Fu proprio la necessità di tenere uniti un popolo e un territorio assai eterogenei che spinse Attila ad affidarsi alla guerra di conquista e alla razzia: ciò gli fu possibile grazie a un esercito che il suo predecessore Rua aveva reso straordinariamente efficiente e che egli si dimostrò in grado di guidare con grande abilità. Dunque, l’accentramento del potere e il controllo totale della sua gente rappresentarono gli obiettivi essenziali della politica di Attila. Da Roma e dalla sua secolare civiltà egli non rimase mai particolarmente affascinato, e guardò alla penisola italiana come a un territorio da conquistare. Nella primavera del 452 gli unni varcarono le Alpi giulie e misero a ferro e a fuoco Aquileia; anche Milano venne saccheggiata; soltanto una specie di miracolo poteva salvare la terra italica e la stessa Roma dalla devastazione.

Il “miracolo” accadde: una delegazione inviata dall’imperatore Valentiniano e composta dal Papa Leone Magno, dall’ex prefetto Trigezio e dal consolare Avieno incontrò Attila presso Mantova, riuscendo a fermarlo e a fargli riprendere la via del ritorno in Pannonia. 

  

Attila l’Unno
Mirko Rizzotto
Graphe.it, 200 pp., 15 euro

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