Ansa
Uffa!
Vecchi cinema, mesti cortei, tanto jazz. E' successo di tutto sotto il cielo di Roma
Nel libro "Sotto il sole di Roma" del giornalista Marco Molendini ci sono luoghi canonici e personaggi degni di essere raccontati. E ci sono anche pagine dedicate ai collaboratori di maggior pregio del Messaggero: Giorgio Manganelli, Vincenzo Cerami, Renzo Arbore
Come la buona parte dei miei consimili generazionali ero e sono uso leggere di più i quotidiani milanesi che non quelli romani, e dico questo pur avendo lavorato al Paese Sera, il quotidiano romano di proprietà del Pci. Ecco perché non ho seguito a dovere il cursus professionale di Marco Molendini, per trent’anni (“Quando c’erano le edicole”) una voce di punta del Messaggero, il quotidiano romano di via del Tritone, un giornale diversissimo dal Paese Sera se non altro perché si rivolgeva a un pubblico completamente diverso. Ai tempi degli esordi di Molendini i 130 giornalisti del Messaggero – anche in questo diversissimo da quell’altro quotidiano romano – erano tutti uomini, finché a via del Tritone non arrivò la bella e giovane Gloria Satta (sorella di Fiamma) che si occupava di cinema e spettacolo, e a tutt’oggi lo fa con notevole acume. Il più pungente e provocatorio di tutti e 130 giornalisti del Messaggero era Ruggero Guarini, il responsabile della Terza pagina, uno dei primi in Italia che pur provenendo dalla sinistra a un certo punto prese a prenderla a calci nel sedere.
Ciascuno di quei loro giornalisti aveva un soprannome che lo rendesse meglio riconoscibile dai suoi colleghi. Quello di Molendini era “Jovinelli” dato che lui si occupava particolarmente di spettacolo. Lo avevo conosciuto anni fa in casa di amici e non ci avevo messo molto a capire che fosse un tipo con i fiocchi. Appena ho visto che era entrato in libreria un suo "Sotto il sole di Roma" (minimum fax, 2025), immediatamente me lo sono procurato. Eccome se ce ne sono di vicende e luoghi canonici e personaggi romani degni di essere raccontati e che Molendini racconta con una scorrevolezza che non è mai banalità. Il sapore dei cinemini contigui alla redazione del Messaggero, il luogo dove rinvennero il cadavere di Pier Paolo Pasolini, il frastuono dell’estate romana apprestata da Renato Nicolini, la volta che arrivò una telefonata in redazione e il giornalista del Messaggero che prese la cornetta si sentì rispondere “Qui le Brigate Rosse”, i club frequentati dal fior fiore dei cineasti e dei musicisti di tutto il mondo, i registi americani che arrivavano a Roma e che avrebbero fatto di tutto per far lavorare in un loro film Alberto Sordi. Dimenticavo, Molendini è un giornalista esperto di musica jazz e quando in un modo o nell’altro la sua prosa incontra il nome di Chet Baker o di George Coleman, è come se si illuminasse. Laddove si fa mesta quando parla dei cortei politici romani degli anni Settanta e Ottanta, quelle mischie furibonde di studenti che si azzannavano a vicenda e la cui posta era il nulla e ci mancherebbe altro che quelle zozzerie meritassero di più che non i riferimenti sprezzanti di Molendini. Più ancora.
E’ tale la passione e la competenza di Molendini per la musica d’autore che appena può dedica interi capitoli del libro ai protagonisti di quella storia, ora il jazzista Gil Evans, ora la tromba di Miles Davis, ora Frank Zappa, di un cui concerto scrive così: “Una cascata di suoni destinati a nutrire un caos indistinto e controllato, dove i cliché del rock si confondono con le suggestioni dell’avanguardia contemporanea”. Laddove se nel libro di Molendini voi cercherete i nomi dei nostri politici maggiori, non ne troverete mai uno: segno che la politica e i suoi annessi e connessi non sono all’apice dei suoi interessi. Piacevoli le pagine che Molendini dedica ai collaboratori di maggior prestigio del suo giornale, e qui vengono fuori i ritratti di Giorgio Manganelli, Vincenzo Cerami, Renzo Arbore. Culmine di quelle pagine è il racconto di una visita che il duo Arbore/Molendini fa a New York alla casa natale di Armstrong. Pare che il pezzo forte della casa-museo fosse il bagno. Tanto che quando un importante giornale americano fece un servizio sui bagni delle celebrità, Armstrong si diede un gran da fare perché vi fosse incluso il suo di bagno.