la copertina del volume di T. Piffer, "Sangue sulla resistenza" (Mondadori, 2025)

Uffa!

Restituire alla storia i nomi, i volti e il dolore delle vittime di Porzûs

Giampiero Mughini

Il libro di Tommaso Piffer, "Sangue sulla Resistenza", è un'accuratissima ricostruzione di un eccidio che non ha eguali nella storia della resistenza italiana

Già in un’altra occasione via avevo raccontato quel che avvenne nel febbraio 1945 a Porzûs, una località friulana teatro di uno degli episodi più atroci della Seconda guerra mondiale. Ho appena ricevuto il libro di Tommaso Piffer (Sangue sulla Resistenza, Mondadori, 2025), che l’editore italiano non poteva presentare meglio di così: “A ottant’anni di distanza, è possibile consegnare definitivamente alla storia Porzûs, il dolore delle vittime e la furia dei carnefici. E cogliere il significato più profondo di un eccidio che non ha uguali nella storia della resistenza italiana”.

Siamo al 7 febbraio del 1945, il governo fascista italiano è caduto da tempo. americani e inglesi stanno paracadutando uomini su uomini a indirizzare il percorso politico e militare dei partigiani italiani di quella zona plurilingue, nettamente divisi come sono quei partigiani tra militanti delle Brigate Garibaldi (comunisti a tutto tondo) e partigiani liberali e cattolici che hanno preso il nome di Brigate Osoppo, dal nome del forte Osoppo in cui durante la Prima guerra mondiale gli italiani resistettero valorosamente agli attacchi dei tedeschi. Ma il punto politicamente centrale di quella zona di scontri è un altro, il fatto che confina con territori dal marchio sloveno e coi relativi combattenti, accaniti nel voler piantare la bandiera slovena su Trieste, Gorizia e dintorni. Un obiettivo che a loro volta i partigiani italiani comunisti non disdegnano affatto: a loro interessa quel che avverrà di quella zona a guerra finita, purché politicamente parlando essa diventi tale e quale al paradiso sovietico dell’èra Stalin.

Ora volete mettere a paragone, dal loro punto di vista, la Jugoslavia dove primeggiano i comunisti guidati da Tito – che combatteva i nazisti fin dal 1942 e che godeva perciò di un forte ascendente – con l’Italia dove hanno un gran rilievo politico i democristiani e gli azionisti? Va bene che è stato lo stesso Stalin a raccomandare che contro i nazifascisti agiscano assieme partigiani di tutti i colori, ma a guerra finita, sì o no “i domani canteranno”?

Del resto era un fatto che dopo la Prima guerra mondiale erano ben 500 mila gli sloveni che vivevano in un territorio giuridicamente italiano, in cui non è che fossero stati trattati con i guanti bianchi. Da parte slovena è forte la pressione affinché partigiani comunisti e quelli della Osoppo abbiano un unico comando e dunque un’unica direzione di marcia politica, ma i comandanti della Osoppo (primo fra tutti il capitano Francesco De Gregori, zio del cantautore) vedono che ove questa unicità di comando si realizzasse, loro diventerebbero dipendenti degli sloveni e delle loro mire territoriali e politiche.

A questo punto gli osovani – scrive Piffer – avevano, contro i tedeschi, i cosacchi che avanzavano da est, i fascisti della Rsi, gli sloveni del IX Corpo, i garibaldini che erano divenuti alleati di questi ultimi al cento per cento, il maledetto inverno. Con De Gregori stavano non più di una ventina di partigiani. Esistono i documenti che attestano come già nel gennaio 1945 fosse stato predisposto dalla federazione del Pci l’attacco finale contro la pattuglia osovana, accusata nientemeno di collusione con i tedeschi. “Vai e fai bene” raccomandò il segretario della Federazione del Pci al partigiano Mario Toffanin, nome di battaglia “Giacca”. Il cui gruppo contava su un centinaio di uomini, e questo mentre i partigiani di De Gregori si erano rifugiati nelle malghe di Porzûs. Dove “Giacca” e i suoi arrivarono alla metà del giorno seguente, il 7 febbraio, per subito avventarsi sugli “allibiti” osoviani che inizialmente li avevano presi per partigiani sbandati.

De Gregori fu uno dei primi a essere ucciso, con una sventagliata di mitra a bruciapelo. Via via i garibaldini uccisero nei giorni seguenti gli altri sedici partigiani, compreso il diciannovenne Guido Pasolini (fratello di Pier Paolo), il quale in un primo momento era riuscito a fuggire per poi essere riacciuffato. Il suo cadavere venne trovato con il cranio sfondato.