
foto di Austin Distel su Unsplash
Uffa!
In quest'èra social, è bene ricordarsi che dieci parole valgono più di cento
Rumore, rumore, rumore. Su questo pare essere fondata la società contemporanea. Ormai la qualità o la non qualità di un avvenimento dipende da come ne hanno parlato i social. Infiniti e superficiali scambi su cose che non hanno la benché minima importanza
Non è che ti metta di buon umore renderti conto che alla tua veneranda età sei pressoché un analfabeta, sei divenuto perfettamente estraneo alle conversazioni le più correnti, alle dispute dei valori i più diffusi nella società in cui vivi. Una società in cui adesso domina alla grande il brusio dei social, che io non so bene che cosa siano e come funzionano e in che cosa differiscano l’uno dall’altro. Mi pare che la cosa vada più o meno così. Esiste ed è a disposizione di tutti un determinato indirizzo telematico, ed ecco che tu rapido rapido spedisci a quell’indirizzo una foto di faccenduole tue o un pensierino da quattro soldi o una notizia strasaputa. Che tu conosca quello al quale (o meglio a quelli) stai messaggiando sui social non ha la benché minima importanza, né ha la benché minima importanza se quello che stai raccontando o meglio giudicando è per loro di un qualche rilievo. Meglio di tutto è che il tono del tuo messaggio sia insultante verso qualcuno, necessiti una replica ed ecco che su questo duello si catapultano giornali e canali televisivi affamati di risse. Idee poche, toni sprezzanti tanti. Messaggi messaggi messaggi.
La realtà dei social sta nel fatto che ti fai vivo con un eventuale interlocutore, gli ricordi di essere al mondo e che lui ne tenga conto. Sempre meglio che niente. Uno che conosco mi ha mandato una settimana fa un messaggio dove mi annunziava con un tono grave che aveva cominciato a correggere le bozze di un suo libro di prossima uscita. I nostri rapporti sono così stretti che una tale notizia ha comunque un certo rilievo per entrambi? Assolutamente no. Il suo è soltanto un modo un modo per far lavorare i nostri computer. Qualcun altro mi manda una foto in cui lui si appresta a mangiare un paio di uova, o cibi similari. Sto esagerando? Ma neppure per sogno. La qualità o la non qualità di un avvenimento dipende da come ne hanno parlato i social. Quando i giornali indicano un qualche scrittore o giornalista con nome e cognome la prima cosa che fanno è dire quante centinaia di migliaia di follower lui ha. Poveri noi che eravamo stati educati nell’idea che la qualità è una cosa, la quantità un’altra.
Ho detto prima che persino la comunicazione corrente risente fortemente di questa atmosfera. Io partecipo pochissimo al conversare di tutti i giorni, fondamentalmente perché non ho nulla di interessante da dire, ma ascolto attentamente quanto viene detto da chi mi sta accanto. Ciascuno si mette a raccontare le sue cosucce, salvo essere interrotto dal vicino che si mette a raccontare le sue e diventa difficile valutare quale delle due perorazioni sia più sciocca e inutile. Dipendesse da me, farei mettere il bavaglio alla più parte di chi mi sta attorno. Dipendesse da me cento volte al giorno farei ripetere a ciascuno la massima che dieci parole (scritte o orali) valgono più di cento. Leggo spesso sui giornali articoli di cui dopo averne letto cento parole non sai ancora di che cosa si tratti. E’ con le parole quel che vale per tutto il resto. Rumore rumore rumore. Scusatemi, ma non mi piace affatto la società in cui viviamo e che si contraddistingue per tutto questo. Quante volte avete sentito attorno a voi le parole che indicano il bisticcio fra destra e sinistra, fra fascisti e antifascisti, tutta roba usa e consunta. E quante volte invece avete letto i dati che indicano le tasse da noi pagate allo stato in modo da raffrontarle con i dati che indicano la crescita del debito pubblico. Chi pagherà questo debito? Sì o no ne va la sopravvivenza del nostro paese, il futuro dei nostri figli? O meglio dei vostri, perché quanto a me sono quasi alla fine del cammino.