Uffa!

Quel giorno che al Vigorelli di Milano con i Beatles cambiò per sempre la musica in Italia

Giampiero Mughini

"Come together" è il frutto combinato del lavoro di una magnifica fotografa italiana degli anni Sessanta, Maria Vittoria Backhaus, e di uno dei più eclettici giornalisti italiani, Marino Bartoletti

Quel 24 giugno 1965 fu davvero “il giorno che cambiò la musica in Italia”, stando alla copertina di "Come together", il libro recentissimo che la Rizzoli ha dedicato a quella fatidica esibizione dal vivo dei Beatles in Italia che si tenne al Vigorelli di Milano? Nato nel luglio 1940, quel giorno Ringo Starr aveva 25 anni. Nato anche lui nel 1940, John Lennon era un suo coetaneo. Nato nel 1942 Paul McCartney aveva 23 anni. Nato nel 1943 e dunque ventiduenne, George Harrison era il più giovane del quartetto dei Beatles. Nel 1965 erano già ampiamente riconosciuti e acclamati in tutto il mondo, forse non ancora divinizzati come lo saranno da lì a poco

 

Il libro di cui mi appresto a discorrervi è il frutto combinato del lavoro di una magnifica fotografa italiana degli anni Sessanta, Maria Vittoria Backhaus, e di uno dei più eclettici giornalisti italiani, Marino Bartoletti. Le foto che scandiscono il libro sono il risultato del magico ritrovamento in casa della Backhaus di una scatola colma di rullini fotografici, dov’erano conservate le foto che la Backhaus aveva scattato nei Sessanta ai quattro demoni e che erano state rintracciate di recente. Foto di un tempo miracoloso, quando ogni cosa della vita di tutti i giorni stava cangiando in Italia, a cominciare dalla musica la più diffusa e la più ascoltata, quella che faceva vibrare i corpi e le anime delle generazioni più giovani. Si calcola che nella loro carriera i Beatles abbiano venduto in tutto il mondo un miliardo di dischi. 

 

E seppure nel 1965 i Beatles non avessero ancora completamente ipnotizzato il pubblico più giovane e più affamato di musica, tanto che chi aveva organizzato la serata al teatro Vigorelli temeva che l’afflusso di quel pubblico correva il rischio di risultare deludente, che potessero essere non abbastanza quelli che avrebbero comprato il biglietto da duemila lire anziché quello da mille lire, che fosse numeroso l’esercito di chi ragionava al modo di quel lettore della Domenica del Corriere che aveva mandato al giornale una lettera che suonava così: “Caro direttore, ho paura che ci capiti fra poco una sciagura. Che presto arriveranno in Italia quattro giovanottoni disertori della vanga che col loro jazz fanno impazzire mezza Europa. Quando la finiremo con questo jazz? Non si potrebbe impedire che venissero a calpestare le aiuole del bel canto italiano?”. 

 

E invece i settemila posti che metteva a disposizione il Vigorelli (il teatro all’aperto inaugurato negli anni Trenta, e dove il 7 novembre 1942 Fausto Coppi aveva conquistato con la sua bicicletta il record dell’ora) non vennero interamente colmati, ma quelli che c’erano al Vigorelli la sera del 24 giugno 1965 lo capirono immediatamente di avere assistito a una serata di musica memorabile. A una serata che avrebbe fatto data nella storia italiana del secondo Dopoguerra. Una serata che le foto della Backhaus testimoniano vividamente da quanto sono statuarie le immagini di ciascuno dei Beatles avvinto al suo strumento e mentre al pubblico che sta loro attorno sembra mancare il respiro dall’emozione. La serata al Vigorelli andò di pari passo con il mercato americano, dove in quel momento erano cinque le canzoni dei Beatles che stavano ai primi cinque posti nella classifica dei dischi venduti. Chi l’aveva organizzata aveva speso bene i dieci milioni di lire che erano stati pagati al quartetto di Liverpool. Paul McCartney al basso, John Lennon polistrumentista, Ringo Starr alla batteria, George Harrison anche lui polistrumentista. E poi le parole delle loro canzoni, la qualità da brividi della loro narrazione cantata. Al confine con la poesia. E fa specie che uno come Renzo Arbore, uno che era fatto della loro stessa pasta, non li abbia mai incontrati al punto da rammaricarsene per tutta la sua vita. Tutta una vita in cui Arbore non la smise di ripetere che il quartetto di Liverpool non è che suonasse musica, e bensì che l’inventasse. Tanto che le canzoni dei Beatles divennero il cavallo di battaglia della trasmissione radiofonica “Bandiera gialla”, la leggendaria trasmissione che si erano inventati allora lui e Gianni Boncompagni.

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