(archivio fotografico Paolo Di Paolo)

Terrazzo

L'Italia del boom in bianco e nero

Enrico Ratto

A Palazzo Ducale di Genova il Mondo di Paolo Di Paolo, visibile fino al 6 aprile 2026. Trecento fotografie nate da uno sguardo modernissimo sul paese e sul mondo

Anziché sfornare terabyte di nuove immagini ogni giorno – photo cons, foto stupide, come le chiamano i francesi – sarebbe forse più utile dedicarsi a una immensa caccia al tesoro per ritrovare tutte le fotografie perdute, le foto abbandonate, le foto impolverate e quelle ancora mai stampate, perché è ormai chiaro che si nascondono lì i racconti pieni di intelligenza, di speranza e, per qualche ragione, meno corrotti dagli stereotipi e dalla nostalgia. 

Ecco che cosa si finisce per pensare a margine dell’inaugurazione della mostra di Paolo Di Paolo Fotografie Ritrovate, a cura di Giovanna Calvenzi e Silvia Di Paolo, visitabile a Palazzo Ducale di Genova fino al 6 aprile 2026. Trecento fotografie nate da uno sguardo modernissimo sull’Italia e sul mondo, un punto di vista diverso perché limpido – a volte basta poco – in una mostra che si distingue per l’allestimento sobrio che rimette, per una volta, al centro la fotografia. La storia di Paolo Di Paolo è ormai nota, ma per chi volesse riviverla in tutti i suoi dettagli consigliamo il documentario di Bruce Weber The Treasure of His Youth, finalmente disponibile su Amazon Prime. Bruce Weber venne folgorato da questa limpidezza. E’ la storia di un uomo arrivato a Roma da un paesino del Molise negli anni del boom industriale, mosso da una passione per la fotografia che lo fa abbandonare ogni parvenza di posto fisso e, nonostante tutto e tutti, qui inizia a lavorare per diletto. Paolo Di Paolo, infatti, citava spesso una frase di Emilio Cecchi “il roseo compiacimento del proprio mestiere è esclusivo appannaggio dei dilettanti” e diceva “io ho sempre fatto le foto per diletto, per piacere”. Così per quattordici anni pubblica sui settimanali italiani dei tempi d’oro, da Tempo a Il Mondo sotto la direzione di Pannunzio, per poi smettere e non fare mai parola con nessuno di questa parentesi della sua vita. “Mi considero la Greta Garbo della fotografia” scherzava “arrivato all’apice del successo, ho preferito ritirarmi piuttosto che assistere al decadimento professionale”.

Un piano perfetto, pensiamo, se non fosse che le fotografie lasciano tracce indelebili. E la figlia, Silvia Di Paolo, curatrice dell’archivio ritrovato per caso tra gli scatoloni, conferma quanto la decisione fosse stata sofferta. “Mio padre mi disse che, dopo aver smesso, per tanto tempo ha sognato di fare le foto ma, quando stava per scattare, nel sogno l’otturatore non faceva click. E la parte razionale gli diceva: ma è un sogno, ma che ti frega, ma falla questa foto! E pure l’inconscio lo spronava: ma che fai, cretino, perché hai smesso?”. 

E’ stata un grande successo, nel 2019, la retrospettiva al Maxxi di Roma con le sue prime foto ritrovate, e oggi la mostra di Genova è una nuova riscoperta, con nuove stampe (persino a colori), intere stanze dedicate agli inediti, un omaggio a Genova con il reportage dal porto, e alcuni scatti tratti da La lunga strada di sabbia, il viaggio da Ventimiglia a Trieste insieme a Pier Paolo Pasolini. E poi i funerali di Togliatti dove, racconta Silvia Di Paolo “arrivarono un milione e mezzo di persone, mio padre quell’estate era in Sardegna, ha preso l’aereo, è venuto a Roma, ha scattato le foto e non le ha mai pubblicate, ma ha sempre detto che per un fotografo perdere un momento del genere sarebbe stato gravissimo”. Naturalmente ci sono le icone, come i tre bambini a Monte Mario che guardano Roma dall’alto, il Cupolone in lontananza, la città vista dalla campagna, una foto che tutti i sindaci della Capitale dovrebbero tenere dietro la scrivania, accanto a Mattarella. Ma non per facili nostalgie, piuttosto per ricordare cosa può essere il futuro. “Le sue foto erano fresche, nuove” dice Silvia Di Paolo “ci sono punti di ripresa mai visti prima”. 

E’ una mostra contro l’appiattimento, che racconta la stratificazione dell’Italia povera e industriale, l’Italia del cinema scoperta dagli attori e dai registi americani un po’ increduli, della letteratura con scrittori e intellettuali per mestiere e non per piano b. Era necessaria una forte propensione al racconto giornalistico per saper cogliere queste complessità. “Quando il Maxxi ha preso in collezione le sue foto, non ci poteva credere” ricorda Silvia Di Paolo “Ma ti rendi conto? mi diceva. “Le mie foto in una collezione museale”. Per chi veniva dalle pagine dei giornali, la fotografia, era un mezzo di informazione, non d’arte, che c’entra la fotografia con un museo?”. 
Eppure, con la fine dei giornali, ma non delle notizie, i musei sono diventati il mezzo di informazione che manca, sono gli spazi in cui si sperimenta un ritrovato senso di libertà e di relazione con chi conserva la curiosità. E così vengono a galla gli immensi archivi da stampare e incorniciare, il più antico e rodato sistema di condivisione delle immagini. In Italia, le foto in via di riscoperta sono moltissime, da Gabriele Basilico a Lisetta Carmi, da Gianni Berengo Gardin a Oliviero Toscani, da Romano Cagnoni a Maria Vittoria Backhaus. L’augurio è che finiscano sempre in mani che le sappiano trattare con la massima cura, come è successo per Paolo Di Paolo.

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