Terrazzo

McLean, il profeta (inconsapevole) della globalizzazione

Michele Masneri

Inventò il moderno container, rivoluzionando i commerci. Morì sconosciuto, adesso è celebrato (nell'America che si vorrebbe autarchica)

In tempi di dazi e controdazi, andrebbe ricordato  Malcolm (o Malcom, alcuni lo scrivono con la “l”, altri senza) McLean, inventore del moderno container e della globalizzazione (anche se ai suoi tempi non si chiamava così). Se l’America è quello che è, innanzitutto una immensa vetrina di beni di consumo coi trecento tipi di cornflakes e i venti tipi di pizza surgelata che appassionano e stupiscono ancor oggi il visitatore forestiero, e che un tempo scioccavano specialmente chi proveniva da repubbliche meno capitaliste e più socialiste, bisogna sapere che non è sempre stato così. McLean era nato nel 1913 a Maxton, Carolina del Nord, e subito dopo il diploma, ottenuto nel mezzo della grande depressione, si era messo a fare il camionista, fino a creare una delle più grandi compagnie di trasporto degli Stati Uniti con oltre 600 mezzi. Ai suoi tempi uno dei pochi beni  importati in America era il caffè. Era un’America chiusa e isolata, come vorrebbe oggi Trump; o forse no: un mondo in cui si consumava ciò che si produceva localmente (il vero km zero, chissà se piacerebbe oggi agli appassionati del genere). I trasporti di merci avvenivano con laboriose operazioni di carico e scarico nei porti che duravano anche una settimana, con un sovrapprezzo che arrivava al 20 per cento del valore finale dei prodotti. 

 


Così ecco la trovata del camion.  Ma l’avvento dell’automobile di massa negli anni Sessanta comincia a rallentare il business (e pure il traffico: i tir di McLean rimangono spesso bloccati negli ingorghi) dunque  ecco l’idea: tornare a spedire le merci per mare, tra North Carolina, New York e Rhode Island, ma i camion occupavano troppo spazio a bordo, e di lì un’altra idea ancora: caricare solo il rimorchio,  senza le ruote. Nasceva così il concetto del moderno container, oggi scontato ma all’epoca rivoluzionario: le industrie del trasporto su gomma, su ferrovia e via mare erano completamente separate, e molto regolamentate. Per cui McLean dovette vendere tutti i suoi camion (nel frattempo diventati 1776, come l’anno dell’indipendenza americana) e ricominciare da capo. Nel ‘55 comprò due vecchie petroliere in disuso e le riadattò. Un anno dopo una gru a Newark, New Jersey, caricava i primi 58 container di alluminio sulla nave “Ideal X”, con rotta su Houston. Ma non fu un successo immediato, anzi. Ci furono enormi proteste: gli spedizionieri temevano che il nuovo sistema avrebbe tagliato posti di lavoro, i ferrovieri pure. Il successo arrivò solo negli anni Sessanta. Fu la guerra  a decretarne l’efficacia: le forze armate americane nel ‘66 cominciarono a utilizzare il container per spedire provviste ai soldati in Vietnam (erano costretti, non c’era altro modo, e così si fidarono di quel bizzarro sistema). Ma a quel punto non solo funzionò; McLean aveva un contratto con l’esercito solo per l’andata, e pensò bene di riutilizzare i contenitori vuoti che dall’Asia dovevano rientrare in America, e con una tappa in Giappone, gli americani cominciarono a conoscere sushi, auto giapponesi e altri beni prima sconosciuti. Singapore e Hong Kong capirono l’importanza di quel nuovo sistema e cominciarono a investirci di brutto, diventando poi protagonisti di quel settore. 

 

Il container come lo conosciamo oggi trasformerà completamente anche la nostra vita di tutti i giorni, per cui possiamo  mangiare frutta spagnola, guidare un’auto cinese e telefonare con un telefono californiano. Tutto si deve a quei parallelepipedi tipo Lego caricati su navi strabordanti, e appena qualcosa non funziona, ce ne accorgiamo subito.  Nel marzo 2021, la Ever Given, lunga 400 metri, con 18.000 container a bordo, si è incagliata nel Canale di Suez; le compagnie marittime furono costrette a  circumnavigare l’intera Africa, passando per il Capo di Buona Speranza  (come si faceva prima che il canale fosse costruito), allungando  i tempi di consegna di almeno una settimana, e 6000-9000 km di viaggio in più, e un danno al commercio mondiale di 10 miliardi di dollari.   McLean morì nel 2001, praticamente sconosciuto, nonostante avesse messo a punto anche altre invenzioni nella sua industriosa vita, tra cui un sistema meccanico per alzare i pazienti dai loro letti d’ospedale. Adesso viene celebrato  dalla “Free press”, il giornale online di Bari Weiss, la paladina del nuovo giornalismo non cartaceo americano, che lo incorona come uno dei grandi eroi dei primi 250 anni degli Stati Uniti. Chissà se ce ne saranno altri 250, vabbè. 

  • Michele Masneri
  • Michele Masneri (1974) è nato a Brescia e vive prevalentemente a Roma. Scrive di cultura, design e altro sul Foglio. I suoi ultimi libri sono “Steve Jobs non abita più qui”, una raccolta di reportage dalla Silicon Valley e dalla California nell’èra Trump (Adelphi, 2020) e il saggio-biografia “Stile Alberto”, attorno alla figura di Alberto Arbasino, per Quodlibet (2021).