Ansa

Terrazzo 

Mondo cosplay. Il diavolo (e non solo lui) veste Maga

Giulio Silvano

Da Star Trek e Naruto si è passati a Stalin e all’assassino di Abe. A parte le Bimbe di Conte, a parte Pontida, in Italia questo carnevale non sembra aver preso campo, ma a pensarci bene un vero cosplayer da manuale era stato lui, il Cavaliere

Il sonno dello stato di diritto genera mostri. Il populismo, se non altro, ha il vantaggio di regalarci un postmoderno show folkloristico di fandom maniacale, di macabra esibizione di fedeltà, di farsesca emulazione dei leader e dei nuovi eroi. E quindi di auto-ridicolizzazione, per creare un brand, per diventare personaggio, per risaltare nell’epoca dell’Adhd (e nel caso di Trump, per vendere merchandise). Quando il presidente giapponese Abe si infilò il costume da SuperMario sembrava un po’ troppo, per gli standard sobri della politica giapponese. Oggi invece è strano non travestirsi. La politica è un carnevale memizzabile.

 

Il figlioletto del segretario di stato di Biden arriva alla festa di Halloween della Casa Bianca vestito da Volodymyr Zelensky. I politici repubblicani si mettono il completo blu e la cravatta rossa oversize, come il loro capo. I manifestanti post-Kkk del sud copiano l’outfit di Trump che gioca a golf (pantaloni beige e polo bianca infilata nella cintura, e cappellino Maga, of course, l’accessorio che rappresenta la nostra èra). Le bambine vengono vestite da “Babushka Z” con tanto di bandiera comunista, e ai seggi russi c’è chi arriva conciato da Uomo Ragno sovietico, da Pietro il Grande, da Alessandro II, da Caterina, da Ivan il Terribile o da Stalin, con tanto di accento georgiano e pipa in bocca. Xi Jinping saluta la folla dal balcone vestito come Mao Zedong, Liz Truss si presenta in Tv vestita da Margaret Thatcher. Nell’era del reel l’abito fa il monaco. Di questo trend in cui siamo immersi parla Mattia Salvia nel suo ultimo libro Cosplayers, appena uscito per Nero col sottotitolo “quando non c’è alternativa a ciò che esiste, ma ciò che esiste non funziona”.

 

“Il cosplay – dal giapponese kosupure, parola a sua volta formata dall’unione dei termini inglesi costume e play e dunque letteralmente ‘gioco in costume’ – è la pratica sociale di indossare costumi per impersonare personaggi perlopiù di finzione, provenienti in genere dal mondo degli anime o dei videogiochi”, spiega Salvia, ex Vice e Rolling Stone poi fortunato collezionista di immagini per la pagina Iconografie XXI, diventata anche rivista. Ma da Star Trek e Naruto si è passati a Stalin e all’assassino di Abe. Salvia parla di “universo figurato”, in cui si finisce per impersonare il personaggio “a cui il culto è tributato” – pensiamo al cerotto sull’orecchio ai comizi di Trump dopo l’attentato – ma anche killer e terroristi, appunto, come Mangione e Sinwar. Per Salvia la necessità del cosplay politico nasce da un vuoto: “l’estetica, la tradizione con le sue implicazioni evocative, sono l’unica cosa con cui si può evitare di lasciare la cassaforte vuota. Sono il fumo negli occhi a cui si ricorre per mascherare il fatto di non avere alcunché da offrire a livello materiale”.

 

A parte quel momento delle Bimbe di Conte in pieno noiosissimo Covid, a parte Pontida, in Italia questo carnevale non sembra aver preso campo, ma a pensarci bene un vero cosplayer da manuale era stato lui, il Cav., quando faceva il presidente-operaio, il presidente architetto nelle tendopoli dell’Abruzzo, o si infilava il colbacco da Putin, il cappello da cowboy da Bush, o la bandana in Sardegna con Blair, quando ancora i cappellini Maga non esistevano.

Di più su questi argomenti: