Terrazzo

L'impero delle motoseghe: il modello Roma e il mausoleo di Augusto senza verde (verticale)

Michele Masneri

I cittadini della capitale protestano contro i tagli degli alberi. Si ferma il cantiere dopo l'abbattimento di quasi 80 cipressi storici. “Negli ultimi tre anni a Roma sono stati abbattuti cinquantamila alberi”, dice Stinchelli

Si parla tanto di modello Milano, ma nessuno si occupa invece del succoso modello Roma, che pure. La capitale, ormai, è quasi più attiva della succursale almeno sul fronte rigenerazione urbana: ruspe, cantieri, rifacimenti, progetti: tutto un daffare molto milanese. Tra Pnrr e doppio Giubileo (c’è anche quello del 2033), la città è decisamente entrata in un ciclo positivo, grazie certamente alla buona gestione del sindaco Gualtieri, ormai anche meme della buona amministrazione, col suo caschetto giallo in giro a inaugurare cantieri, tappare buche, annunciare stazioni.

 

 

Uno dei pochi lati  oscuri di questo modello, o  ombra, anche letteralmente, pare un po’  l’accanimento contro il verde pubblico. Proprio mentre ogni città nel mondo tenta di riforestarsi, anche per contrastare il surriscaldamento climatico, Roma che arriva già forestata sembra fare di tutto per diventare invece una spianata di cemento e travertino (insomma una grande San Babila). Era già successo a piazza San Silvestro, trasformata – da altri sindaci  – in grande barbecue arroventato, e solo dopo molti anni in seguito alle proteste ri-alberata.

 

Adesso avviene in piazza Augusto Imperatore, piazza che non ha pace, prima con l’Ara Pacis (vabbè) poi adesso coi lavori che vanno avanti da cinque anni, per restituirla come  uno degli avamposti della ricostruzione gualtieriana. Lì, nel tondo mausoleo dell’imperatore,  sono appena stati abbattuti la gran parte dei cipressi (come si vede nelle foto sopra, il prima e il dopo) che facevano parte del cosiddetto “bosco sacro”, che circondava quel grandioso monumento. Andando lì in una giornata di sole, tra le “vere fettuccine del vero ristorante Alfredo” e il colossale Bulgari Hotel, si possono notare i moncherini degli 80 cipressi, e persino persone che protestano, perché Gualtieri  è riuscito nell’impossibile: più difficile che far ripartire le metropolitane e fare l’inceneritore, è far mobilitare i romani, popolo non proprio barricadero sulle questioni civiche.

 

 

Invece da giorni infuriano gli appelli sui social, e in piazza oggi trovo due personaggi che stanno mobilitando l’opinione pubblica capitolina. Lorenzo Di Paola, costruttore, che da un po’ si è messo a fare appelli e video online, che stanno dilagando. Quasi centomila follower, “sono un insospettabile piantatore di alberi nei posti più nascosti, pianto querce e lecci vicino ai monumenti”, racconta l’energetico sessantenne Di Paola al Foglio. E’ stato protagonista anche di sit-in all’americana come il salvataggio della quercia in piazza della Quercia, vicino Campo dei Fiori. “Non ho interessi da difendere se non l’amore per la natura”, racconta, mentre scongiura il personale al lavoro nel cantiere della piazza di  fermare lo stillicidio dei cipressi. “Dicono che sono malati, ma hanno solo 90 anni, e un cipresso può vivere fino a mille, per questo sono sempre stati scelti per i cimiteri”, racconta al Foglio un’altra protagonista della protesta, Jacopa Stinchelli, conduttrice della trasmissione radiofonica "La Voce degli Alberi”  e fondatrice di “Difendiamo i pini di Roma”,  coordinamento molto attivo sui social delle “trenta o quaranta associazioni che sono sorte in questi ultimi anni in varie zone della città”.

 

“Lottiamo contro  l’omofobia e la xenofobia, ma a Roma c’è invece la pinofobia, non si capisce perché questa amministrazione ce l’ha tanto con gli alberi”, dice Stinchelli. In questo caso sono cipressi, ma dei pini,  simbolo stesso della città,  da Respighi a Venditti, si assiste a uno sterminio. “Villa Glori, villa Ada, villa Borghese, vengono decimate. Le scuse sono sempre le stesse, che sono ammalorati. Ma, oltre a non essere vero, l’ammalorarsi dipende dalle capitozzature, cioè dalle potature sbagliate che vengono messe in atto da imprese non specializzate”. Ma torniamo ai cipressi di piazza Augusto Imperatore. “Questo è ancora più grave perché il bosco sacro fa parte del progetto originale del mausoleo, ne parla già Strabone, storico del I secolo A.C., secondo cui il più notevole dei monumenti romani era proprio il Mausoleo di Augusto, circondato dal suo Sacro Bosco”.

 

 

Le immagini dell’epoca, ricostruite, mostrano  un cupolone ricoperto di alberi, ma i cipressi appena abbattuti vennero piantati molto dopo, nel 1938, dall’architetto e storico dell’arte Antonio Muñoz, che ideò la sistemazione del Mausoleo dopo le sue infinite e affascinanti vicende storiche. Il più grande sepolcro circolare dell’antichità, con un diametro complessivo di quasi 90 metri e altezza di 45 metri, è stato nei secoli infatti cava, poi castello, poi giardino all’italiana di nobili famiglie, poi una specie di Augustus Palace, per eventi sportivi e pure corride. Nel 1819 Giuseppe Valadier disegna una copertura con un velario, che poi crollerà nel 1825. Poi diventa “Politeama Umberto I”, e nel 1907 auditorium di Santa Cecilia, e finalmente negli anni Trenta “storicizzato”, ripulito e riportato agli antichi splendori da Muñoz. Anche le vicende della piazza sono defatiganti: c’è un progetto di Libera, poi  Morpurgo che realizza la famosa teca per l’Ara Pacis, poi nel 2006 quello di Richard Meier. Oggi i nuovi lavori e lo sterminio dei cipressi. 

 

“Il 30 settembre hanno cominciato a segare gli alberi con grande solerzia. Il tutto senza perizie che ne certificavano l’eventuale malattia, né nulla osta della Soprintendenza. Nemmeno i consiglieri comunali del Primo municipio non sono stati informati” dice ancora Stinchelli. Su Roma Today in realtà si legge che l’Amministrazione avrebbe dato via libera ai tagli dopo un monitoraggio addirittura del Cnr. “Ma gli alberi sono sani e presto le analisi lo dimostreranno. Adesso intanto dopo le nostre proteste hanno fermato tutto”.  Nel progetto della piazza dell’architetto Cellini (Francesco, non Benvenuto) si parla  di sostituirli con altri nuovi. “Sì, metteranno cipressi nani, ci rendiamo conto? Così come per tutta Roma si abbattono pini e lecci per  sostituirli con alberi che  non c’entrano niente, come i ligustri, più adatti per un centro estetico”. E’ vero, in effetti basta camminare per il centro  per imbattersi in alberelli ornamentali (che peraltro hanno spesso un’aria moribonda, nei centri estetici almeno li innaffiano). 

 

“Negli ultimi tre anni a Roma sono stati abbattuti cinquantamila alberi”, dice ancora Stinchelli. Già, ma se cascano in testa a qualcuno, come è successo (che è anche l’obiezione classica)? “Ma gli alberi non cascano all’improvviso, vanno curati, cascano al limite se sono mal potati o se ci si scava sotto in maniera errata”. Purtroppo va detto che  il fastidio per gli alberi in città ha in Italia la capacità di mettere (quasi) tutti d’accordo: gli architetti (che odiano il verde quando non è “verticale”, perché fa ombra al loro ego); le soprintendenze (per misteriosi motivi), le amministrazioni (che devono fare manutenzione) e spesso anche molti cittadini,  forse a causa di atavici  complessi per le nostre povere origini contadine.

 

Questa volta però  sui social è tutto un appello a salvare i cipressi. E in generale gli alberi romani. Si formano  gruppi, si fanno interrogazioni al comune. Forse la stessa ansia, ribellione, senso di giustizia che spinge alle manifestazioni passa anche dalla difesa del verde. Chiedono al sindaco Gualtieri di fermare la strage  degli innocenti (alberi). Già, ma quale Gualtieri? quello bonario dei meme  o il suo alter ego misterioso che si aggira  in cerca di tronchi da abbattere? Sta mano po’ esse caschetto e po’ esse motosega, vabbè.  

  • Michele Masneri
  • Michele Masneri (1974) è nato a Brescia e vive prevalentemente a Roma. Scrive di cultura, design e altro sul Foglio. I suoi ultimi libri sono “Steve Jobs non abita più qui”, una raccolta di reportage dalla Silicon Valley e dalla California nell’èra Trump (Adelphi, 2020) e il saggio-biografia “Stile Alberto”, attorno alla figura di Alberto Arbasino, per Quodlibet (2021).