Terrazzo

Il Putin vero e quello interpretato da Jude Law. Parla l'autore di "Il mago del Cremlino"

Michele Masneri

Presentato a Venezia il film diretto da Olivier Assayas e tratto dal romanzo di Giuliano da Empoli. Colloquio col suo autore 

Mentre Putin (quello vero) è in Cina a un vertice con Xi, l’indiano Modi e altri cattivoni globali, il Putin d’invenzione interpretato da Jude Law è in passerella alla Mostra del cinema di Venezia per “Le Mage du Kremlin” (“Il mago del Cremlino”), diretto dal francese Olivier Assayas, scritto con Emmanuel Carrère, e tratto dal romanzo omonimo del nostro Giuliano da Empoli, già caso letterario europeo. La trama:  un professore americano (Jeffrey Wright), è a Mosca a intervistare il misterioso Vadim Baranov (Paul Dano) che gli racconta la sua avventurosa vita, di come è passato da regista teatrale a televisionaro infine a talent scout di un grigio funzionario dell’ex Kgb, un certo Vladimir Putin (Jude Law). Sottotitolo (nostro): i vent’anni che travolsero Mosca. O: vestivamo alla putiniana. Di sicuro, realtà e fantasia sempre più mischiate. Chiediamo a da Empoli, saggista italo-franco-svizzero ormai analista-star del potere contemporaneo tra fiction e non fiction: Putin sarà contento, interpretato da Jude Law. Quando gli ricapita.  

 


“Non credo, in realtà”, dice da Empoli. “Certo, Law è un bellissimo uomo, ma l’hanno imbruttito parecchio per interpretare Putin, che nel libro e poi nel film è un omino abbastanza anonimo”. Celebre la scena in cui, negli anni in cui Putin sta per diventare Putin, cioè da tristo spione a leader, i suoi sono preoccupati perché lui non è né un grande oratore, né ama il contatto con le folle. “Ma poi  decidono di puntare tutto su quello, proprio sul  suo essere gelido e  distante, dandogli un termine di paragone molto cinematografico: Greta Garbo”.  Sul set avete avuto qualche misterioso problema? Interferenze informatiche, qualche tè al polonio? “No, nessuna a livello diretto. I comunicatori russi hanno dichiarato di non aver visto il film, il portavoce del Cremlino, Peskov, ha fatto sapere di considerare  normale un film su questo tema, dato che Putin è un ‘grande leader e personaggio’, e credo che proseguiranno con questa impostazione, preferendo ignorarlo piuttosto che attaccarlo”.

 

Avete girato in Russia? “No, in Lettonia, dove Mosca è stata interamente ricostruita”. Certo è un momento di grazia per Putin, tra red carpet veri e di finzione. Prima il vertice di Anchorage con Trump, ora questo in Cina. E poi appunto Venezia. “Ma il nostro film non ne fa certamente un’apologia, anzi attacca pesantemente il mito di Putin. Mito che invece è perpetrato da tutto il resto, dai social, dal mondo reale”. Insomma, la finzione come modo di ristabilire la verità. Lei, che nasce saggista, sta scrivendo altri romanzi? “Ho appunto un saggio, già pubblicato in Francia, e che uscirà a fine mese anche in Italia per Einaudi, si intitola ‘L’ora dei predatori’, è una raccolta di reportage dai luoghi del potere globale extraeuropeo, dall’Onu all’Arabia Saudita. Ma romanzi sì, ne sto scrivendo un altro, che però non tratta di Russia”. Parla di Trump? “No, non è ‘Il mago della Casa Bianca’. Però gira sempre attorno all’attualità e al potere. Il problema è che non ho molta fantasia”. Ma per quella basta la realtà.  Il Mago l’aveva scritto nel 2021, quindi prima diciamo del “secondo Trump”. Se lo aspettava così il secondo impero Maga? “No. Avevo appunto osservato il ‘primo Trump’, più carnevalesco. Del nuovo mi ha sorpreso soprattutto l’alleanza con il settore tech e i suoi oligarchi”.

 

Diceva che non ha fantasia. “Ma oggi poi è molto difficile fare fiction perché la realtà tende a superarla”. Basta pensare che ieri l’aereo della presidente della Ue ha dovuto fare un atterraggio d’emergenza per un presunto attacco informatico russo. Sembra un film. Ma la realtà è sceneggiatrice, e Putin, regista,  lo sa benissimo. “Il punto che segna un prima e un dopo nel putinismo è anche quando il presidente russo nel 2007 riceve Angela Merkel, che notoriamente ha la fobia dei cani, facendo entrare a sorpresa nella stanza un enorme labrador.  Da lì un po’ parte il modello di leadership di Putin (e di altri leader contemporanei come Trump) che è un'alleanza tra il ‘premoderno’ (un leader condottiero, violento, brutale, con valori tradizionali e discorsi reazionari) e ‘postmoderno’ (spin doctor, social media, digitale, realtà parallele, comunicazione manipolata). Questo modello esclude totalmente il ‘moderno’”.

 


Anche nel libro e nel film realtà e finzione si sovrappongono parecchio. C’è una scena che si rifà a un vero incontro tra l’allora presidente russo Eltsin e quello americano Clinton avvenuto nel ’95. Sono gli anni dopo il crollo dell’Urss e prima del putinismo, e in cui la Russia sembra per sempre “addomesticata”, debole, “normalizzata”. E’ una scena che si trova anche su YouTube. Eltsin, probabilmente alticcio, fa una battuta e Clinton gli ride in faccia, sbellicandosi per svariati minuti. Nel “Mago del Cremlino” è un momento che sconvolge l’animo russo.  Che sembra preparare gli anni a venire, la grande revanche dell’onore perduto. “Trent’anni dopo ho rivisto quella scena  nel fallimentare vertice di Anchorage, però a parti invertite, con Trump, leader del mondo libero, quasi sbeffeggiato da un Putin invece potente e prepotente, e talmente più considerato rispetto a quello che sarebbe davvero il suo ruolo e il suo peso oggettivo. Ma qui conta anche e soprattutto la debolezza dell’occidente, la nostra”. 

 


Il protagonista del film però non è il Jude Law-Putin. “No, è la figura di invenzione di Baranov, immaginifico spin doctor del Cremlino, qui interpretato da Paul Dano, che è perfetto, con una specie di espressione glaciale, di voce bianca, un personaggio che veramente non suscita praticamente nessuna empatia”. Lei ha partecipato alla sceneggiatura? Storicamente ci sono due categorie di scrittori, quelli che si tuffano nella nuova avventura cinematografica e quelli che invece preferiscono starne lontanissimi. “Io sono decisamente della seconda scuola, non ho partecipato, ho preferito che se ne occupasse qualcuno che sa veramente di cinema, come Assayas e pure come Carrère, uno scrittore che a differenza mia ha una solida cultura cinematografica. Tra l’altro Assayas era uno dei pochi registi a cui avevo mandato il libro quando era uscito, quindi sono stato veramente fortunato che sia stato proprio lui a realizzarlo”. Uniche contaminazioni, “qualche chiacchierata col regista, con gli attori, e un paio di visite sul set”.

 

E’ rimasto folgorato dalla settima arte? Vuole fare er cinema anche lei in futuro? Il regista? “Assolutamente no. La sensazione sul set è simile a quella provata a margine degli incontri politici. Eravamo lì, Carrère e io, a osservare quella gran confusione, in cui si fa fatica a capire cosa succede, e ti senti un po’ un intruso, se non ne sei il protagonista. Diverso il discorso sullo scrivere sceneggiature, certo sono due mestieri completamente diversi, soprattutto perché lo scrittore è sempre da solo, mentre lo sceneggiatore lavora in gruppo”. 

 

Anche il libro e il film sono un po’ diversi. “Senza rivelare troppo, però la fine è differente, nel film è  più nera ancora e più disperata rispetto al libro. Che del resto era stato scritto prima dell’invasione russa in Ucraina”.   Insomma, come si è trovato alla Mostra del Cinema veneziana? Lei che pure era stato consigliere di amministrazione della Biennale un tempo lontano, quando bazzicava la politica e non la letteratura. “E’ interessante anche essere da quest’altra parte, come autore. Ma ho fraternizzato soprattutto con un attore lettone, che nel film interpreta Sechin, il braccio destro di Putin. Eravamo le uniche due non star del film”.

  • Michele Masneri
  • Michele Masneri (1974) è nato a Brescia e vive prevalentemente a Roma. Scrive di cultura, design e altro sul Foglio. I suoi ultimi libri sono “Steve Jobs non abita più qui”, una raccolta di reportage dalla Silicon Valley e dalla California nell’èra Trump (Adelphi, 2020) e il saggio-biografia “Stile Alberto”, attorno alla figura di Alberto Arbasino, per Quodlibet (2021).