(foto Ansa)

Terrazzo

Il van del desiderio: anche Papa Leone passa al monovolume

Michele Masneri

E' diventato il mezzo ormai simbolo della borghesia affluente urbana. E ora lo usa anche il nuovo Pontefice

Sì, è il cinquemillesimo pezzo sul Papa e siamo solo al quinto giorno, ma chest’è. Non c’è solo il ritorno alla mozzetta, cioè la mantellina rossa, e l’upgrade abitativo (forse) dall’umile Santa Marta al Palazzo Apostolico: la restaurazione o normalizzazione di Papa Leone XIV passa anche dall’auto.

 

Si sa che nella storia della motorizzazione e del Secolo breve, le auto dei Papi sono un capitolo importante. Lancia, Cadillac, Bmw, soprattutto Mercedes hanno portato una delle targhe più chic al mondo (SCV 1, altro che quelle che si trovano a Londra e Dubai con le iniziali a lauto pagamento). La prima Papamobile, nel senso di sostituta della sedia gestatoria, fu una Land Cruiser Toyota utilizzata da  Paolo VI nel (’75). Ma Wojtyla (utente soprattutto di Fiat Campagnola, che gli fu quasi fatale) non amava questo soprannome.  Adesso  Leone XIV è stato avvistato in un van scuro, per i primi spostamenti. Abolito dunque il pauperismo del predecessore che con le auto aveva fatto il diavolo a quattro. Prima una scalcinata Ford Focus blu  che causava gravi problemi, poi una Fiat 500 L. Anche nel momento del trapasso, aveva previsto un carro funebre rigorosamente usato, una Dodge Ram 1500 poi subito donata a Gaza (forse segretamente ispirata alla Land Rover pick up funebre di Filippo di Edimburgo, pure questa disegnata dal de cuius, però con ben altro risultato). Ma  qui, punto supremo del populismo automobilistico bergogliano: e i pòri palestinesi che già hanno tanti guai, che ci devono fare col carro funebre bianco, pure usato (e lasciamo stare la R4 donatagli anni fa da un presbitero veronese,  targata VR).

 

Adesso Leone XIV richiama all’ordine. Con una certa gradualità e moderazione. Sta seduto davanti, almeno per ora, e sceglie questo mezzo, il van, ambiguo per natura. Né auto né camion, né ricco né povero. Fino agli anni 80 questi mezzi si chiamavano “monovolume”, e il primo ad arrivare, in Italia, l’Espace Renault, destò curiosità e scandalo: nessuno osava comprarlo, tranne pochi anticonformisti. Poi divenne comune. Oggi il van nero, con stemmino “Ncc” cioè a noleggio con autista nelle grandi città, è un “segno” urbano sempre più frequente. Simbolo di borghesia urbana affluente, da una parte trasporta il turista liquido, che viene scaricato davanti ai cinque stelle (gli hotel, non il partito) coi suoi bagaglioni Rimowa che costano quanto uno stipendio medio di primario ospedaliero italiano.

 

Oppure, adibito al trasporto residenti del terziario impegnato: nelle città in crisi di taxi, il van è arma di formidabili pubbliche relazioni, perché alla fine dell’evento, della mostra, del cocktail, della sfilata, ormai a Milano e Roma spunta uno/a scaltrissimo o scaltrissima che ti vede con l’espressione perduta armeggiare con le app alla ricerca del taxi  e ti sussurra: se vuoi ti do un passaggio col mio van. Non è una profferta sessuale ma una ben più risolutiva soluzione logistica. Il suo van, con autista, è parcheggiato non lontano, ti riporta a casa, e tu sarai riconoscente per sempre; intanto si creerà un bel gruppetto a bordo, di altri ripescati dal van, che si scambierà numeri di telefono e biglietti da visita, con quei legami o “bond” (non più argentini) che si formano istantaneamente tra chi è stato vicino in casi avversi, guerre, epidemie, catastrofi, o la Naja insieme.

 

Il van che si vede ormai in  migliaia di esemplari circolanti nella grandi città (anche in corteo, il van è modulare e componibile a seconda del potere) è l’equivalente della limousine di molti anni fa, lo usano cantanti e attori (mentre nessun ricco e potente gira più con la berlina a forma di berlina, tranne i politici meno connessi allo spirito del tempo. Quelli moderni sono passati già alla station wagon e al suv).    Il van (nello specifico, con vetri oscurati, portellone elettrico, possibilmente Mercedes) è il nuovo padrone delle nostre città, soprattutto perché è simbolo di lusso necessitando di autista (nessuno guiderebbe un van nero, venendo scambiato appunto per autista). Spesso, chi vuole risparmiare, vi manda un finto van che in realtà è una versione camionata di un modello simile, con interni scomodissimi, e sospensioni da lavoro, e vi verrà la cervicale (attenzione).   

 

Intanto i più attenti hanno notato che già nel corteo funerario dietro la papafunebre c’erano quatto Suv elettrici  e altrettanti van di marca Volkswagen. Che sia, il nuovo Vaticano post Bergoglio, una roccaforte non solo del monovolume ma anche dell’elettrico europeo? Di nuovo l’ambiguità: perché il van di Leone XIV  è scuro, ma pur sempre van del popolo (“volk”); e un po’ discendente anche del famoso pullmino Volkswagen degli hippy,  dunque si ripropone il quesito che scuote le coscienze, il Papa americano è di destra o di sinistra? Ricordiamo che si è registrato, nel ’12, ’14 e ’16, alle primarie del Partito repubblicano, ma non si sa poi cosa abbia votato! E nel ’24, ha votato per corrispondenza. Nel segreto dell’urna, e del van, tocca stare a vedere, vabbè).

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  • Michele Masneri
  • Michele Masneri (1974) è nato a Brescia e vive prevalentemente a Roma. Scrive di cultura, design e altro sul Foglio. I suoi ultimi libri sono “Steve Jobs non abita più qui”, una raccolta di reportage dalla Silicon Valley e dalla California nell’èra Trump (Adelphi, 2020) e il saggio-biografia “Stile Alberto”, attorno alla figura di Alberto Arbasino, per Quodlibet (2021).