Terrazzo

Alla scoperta della Roma notturna di Roberto D'Agostino

Michele Masneri

Guardare “Roma santa e dannata”, con la regia di Daniele Ciprì (sarà presentato alla Festa del Cinema di Roma il 27 ottobre), permette di sognare una Roma che c’era e forse non c’è più, languida, morbida, accogliente, col buio non si vedono infatti le buche e il traffico scompare

Ci sono Roberto D’Agostino e Marco Giusti che filano su un battello nella notte sul Tevere, come Dante e Virgilio “o come Tomas Milian e Bombolo”, dice Giusti, e vengono in mente le notti in cui Dago metteva i dischi al Liam. C’è Vladimir Luxuria che ricorda come la prima sede del Muccassassina fu in un ex cinema porno di proprietà del Vaticano (“venivano tutti, la travestita part time e l’etero solidale;  la gente prima chiedeva: ‘non ci saranno mica i fotografi?’, che poi è diventato ‘ci sono i fotografi vero?’”). “A mezzanotte si ballava il sirtaki”, ricorda Luxuria, e poi quell’edificio diventerà la sede dell’Ufficio stampa del Giubileo del 2000. Adesso che Roma si avvia al Giubileo di un quarto di secolo dopo, ed è invasa di lavori, e rumori, e male di vivere, la fuga nella notte pare l’unica soluzione.  

 

Così guardare “Roma santa e dannata”, con la regia di Daniele Ciprì,  il docufilm di D’Agostino e Marco Giusti prodotto da The Apartment (produttore creativo Paolo Sorrentino) che sarà presentato alla Festa del Cinema di Roma il 27 ottobre permette di sognare una Roma che c’era e forse non c’è più, languida, morbida, accogliente, col buio non si vedono infatti le buche e il traffico scompare. Sul tetto di un battello lungo il Tevere o sulla terrazza fatale dell’hotel Raphael Dago e Giusti incontrano personaggi che raccontano ognuno un pezzetto della loro Roma notturna. C’è Carlo Verdone che ricorda le notti con l’amico e cognato Christian De Sica su “una Ford mustang scoperta” (“a Christian, chiudi ‘sta capote che sembriamo proprio du’ stronzi”, e De Sica invece mette Sinatra a tutto volume), e passano poi a prendere una giovane bellissima ragazza, Monica Guerritore, tutta vestita da calciatore della Roma, compresi gli scarpini, che nel locale si butterà su Alain (Delon), mentre  Helmut (Berger) lancia noccioline e cubetti di ghiaccio sul pubblico mentre balla completamente nudo.  

 

C’è papa Wojtyla che appena eletto esce a godersi anche lui la Roma notturna e poi non lo lasciano più rientrare, non le Guardie svizzere che non lo riconoscono, né la gendarmeria perché non ha i documenti, e qui sembra il viaggio notturno di Alberto Sordi nel leggendario episodio del “malconcio” nei “Nuovi mostri”.   C’è Berlusconi, “il più romano dei  lombardi”,  che a un certo punto, racconta Enrico Vanzina,  convoca i migliori cervelli di Cinecittà per un pranzo e loro sono tutti molto sospetti col Cavaliere brianzolo, ma poi finisce ovviamente con Confalonieri al pianoforte e Lina Wertmüller ai cori. Al ristorante Matriciano invece i posti son tutti prenotati (e sembra di stare nelle “Finte bionde”) finché non arriva Montezemolo con l’Avvocato, e si aprono le acque. Ci sono le feste, i salotti, con spezzoni di vecchi filmati di banchetti, si vedono Carla Fendi e poi Mario D’Urso e il principe Giovanelli ubiquo nella tipica attività capitolina dell’assalto al buffet, anche se D’Agostino sembra mettere in guardia: quando vedi un romano al buffet abbi rispetto, sta portando avanti una battaglia che tu non puoi conoscere (“Non siamo parassiti, stiamo lavorando”).

 

C’è la deriva “socialismo afrodisiaco” coi  salotti e le terrazze improvvisamente fondamentali negli anni Ottanta di Adelina Tattilo, Sandra Carraro, Paola Sturchio, con la Gbr che è la piccola Fox News craxiana, e Martelli inventa l’Appia Antica e De Michelis si dà ai trattati sulle discoteche. Ci sono i funerali, rito fondamentale romano, ecco quello di Andreotti dove sfumano e sfilano Gianni Letta, De Mita, Casini, sempre Carlo Giovanelli, anima persa al canto non delle sirene ma dei madrigalisti venezuelani di villa La Furibonda. C’è l’aneddoto più micidiale, raccontato da Verdone, sulla giornata in cui Alberto Sordi viene fatto sindaco  di Roma per un giorno, per i suoi 80 anni, e a metà giornata è già  stravolto e vuole tornare a casa,   ma scivola salendo in macchina, e un vecchio lì vicino non solo non lo aiuta ma immobile sibila: “se semo invecchiati eh, Albè?”, e l’attore-sindaco rimane turbatissimo, capendo da quella specie di presagio terribile che il declino è arrivato. 

 

C’è il famoso incidente in macchina con Renato Zero nella Seicento che prende in pieno una vetrata di via Sicilia vicino al Piper e si ritrovano tutti tra le bare delle onoranze funebri Scifoni. C’è Massimo Ceccherini che tipo Alcolisti Anonimi racconta  la sua calata a Roma dopo i successi del “Ciclone” e la rovina finanziaria ed epatica tra il bar della Pace, il Jackie O’, “la polvere e la bevanda e i bar di via Veneto della Camorra”. C’è il leggendario locale gay Easy Going coi mosaici alla Tom of Finland, frequentato da  Armani Valentino Versace. C’è il Degrado con le orge sulle note di “Quando nasce un amore” di Anna Oxa e la pornostar che fa dei giochi con le candele invece con in sottofondo i Carmina burana, racconta Vera Gemma, costantemente scambiata per trans (anche dalle trans). C’è il principe dei fusti Maurizio Arena, che nella villa di Casalpalocco in regime molto alcolico tiene incorniciata la foto del suo gioiello (con misure precisate, 27 cm) e attira soprattutto teste coronate, con corone aperte e chiuse, da Doris Pignatelli a Meralda Caracciolo, a Domietta Hercolani del Drago cioè poi la Desideria di “Fratelli d’Italia” di Arbasino – quella famosa perché a un Festival di Spoleto alla rivale amorosa che le chiedeva “scusi signora, mi passa il sale”, rispose: “Signora sarà lei”.

 

Infine, nell’ascesa araldica, Titti di Savoia, la nostra princess Margaret, infanta d’Italia che ricevendo l’editore di Novella 2000 stupito per quella esclusiva che la principessa concederà col fusto, addirittura a casa, chiede cosa mai desideri la coppia in cambio, e Sua Altezza risponde: “una bottiglia di Aperol”. Gran finale con la celebre estate romana di Castelporziano, la Woodstock de noantri, dove tra Ginsberg e Gregory Corso e annunci “rubata un’autoradio” si arriva alla nota fatale: tra poco arriverà la pasta e fagioli per tutti, e vien giù (letteralmente) il palco, e un’epoca finisce. C’è tutto questo nel doc dagostinesco, che è anche un omaggio al più grande film che sia mai stato fatto su questa strana e ineguagliabile città, il “Roma” di Fellini, infatti citato, anche nei piani sequenza sui cunicoli della metropolitana che scorre; che ci riportano tragicamente alla realtà diurna e deprimente degli infiniti lavori pubblici. 

  • Michele Masneri
  • Michele Masneri (1974) è nato a Brescia e vive prevalentemente a Roma. Scrive di cultura, design e altro sul Foglio. I suoi ultimi libri sono “Steve Jobs non abita più qui”, una raccolta di reportage dalla Silicon Valley e dalla California nell’èra Trump (Adelphi, 2020) e il saggio-biografia “Stile Alberto”, attorno alla figura di Alberto Arbasino, per Quodlibet (2021).