Foto LaPresse

Terrazzo

Perché l'aria condizionata sta diventando un bene di lusso

Michele Masneri

Secondo Assoclima, il mercato italiano dell’aria condizionata  ha superato nel 2022  i 3 miliardi di euro, con un incremento del 35,5 per cento rispetto al 2021. 

Secondo l’Autorità internazionale dell’Energia, i condizionatori d’aria nel mondo passeranno dai 1,6 miliardi di oggi ai 5,6 miliardi entro il 2050, con un consumo che equivarrà a tutta la bolletta energetica odierna della Cina. Ovviamente sarà un disastro ambientale, con la CO2 che passerà da 1,25 miliardi a 2,28 miliardi di tonnellate. Classico gatto che si morde la coda, mettere più condizionatori per stare più freschi  alzerà ulteriormente le temperature (si stima +1 grado centigrado in certe città, le più climatizzate). Adesso si prospetta una guerra di mondi, perché da una parte l’aria condizionata che Cina e India stanno installando a manetta non è tripla classe A, ma consuma il 25 per cento in più di quelle della “ztl del mondo”, l’Europa secondo la definizione mica male di Chicco Testa, ma anche dell’America. E però mica gliela possiamo proibire: l’aria condizionata è stata un passaggio dell’America del benessere, si stima che abbia salvato il 75 per cento dei bambini nati prematuri nei giorni più afosi dei vari boom (bizzarra rilevazione del Nyt), oltre ad aver reso abitabili intere lande e sopportabile la vita in città come New York e Miami (anche se lì  avevano studiato un art déco poi celebre, ma nato non per bellezza, bensì perché le linee curve incanalano meglio il vento favorendo il ricambio).  Comunque in una storia dell’aria condizionata forse siamo anche a un anniversario fondamentale, il primo sistema industriale venne piazzato infatti nel 1903 nella sala contrattazioni di Wall Street e subito dopo nelle residenze private delle famiglie Vanderbilt, Carnegie, e Astor. Aristocrazia refrigerata, nasce una nuova classe sociale.


Ma passando dal global al micidiale local, è un problema che ci riguarda tutti. E qui non parliamo delle eterne lotte in ufficio tra chi vuole i 28 e chi pretende i 16 gradi (anche battaglia di gender). No, la casa è il nuovo campo di battaglia. Soprattutto in un paese di proprietari di case, spesso case in posti impraticabili e disabitati, ma pur sempre case. La vecchia villetta della nonna in collina e il palazzetto di zio in città, dove un tempo si trascorreva la placida villeggiatura, e adesso adocchiato per smart working e fughe da Milano e grandi dimissioni, sono diventati micidiali forni, dove nessuno negli anni ha pensato di mettere il condizionatore. Non si fa perché non si è mai fatto, urla il nonno, che pure rischia l’infarto per le temperature mai viste. Come il bagno in camera, l’aria condizionata in certe famiglie causa dilemmi morali, vista come segno di decadenza da sibariti. Si preferisce soffrire. Ma tanti non ci vanno più, e basta. Poi, quando si è preso la ferale decisione, troppo tardi. Adesso è diventato difficilissimo.


Nel  paese in cui più o meno tutti abitiamo in uno dei “borghi più belli d’Italia”, si entra poi facilmente nel dramma dell’aria condizionata senza motore in facciata. In un paese molto polarizzato, dove la maggior parte dei cittadini non segue alcuna regola, e una minoranza ne segue troppe, dove il 4,5 per cento paga il 38 per cento di tutto il gettito nazionale, il paese reale è un’unica facciata disseminata di orridi motori di arie condizionate ronzanti, appesi con le loro staffe anche a cattedrali, uffici comunali (anche al ministero dell’Economia, se non li hanno tolti recentemente), con frequenza e ordine inversamente proporzionali da nord a sud. E poi invece ci sono sparute enclave dove il motore non è ammesso neanche nel cortile! E non parliamo degli Uffizi, di palazzi vincolati tra piazza Farnese e via Giulia, o a Sant’Ambrogio. No, sono condomini di quartieri anche sgangherati che hanno costituito oasi di legalità, ma anche di mistero. Come faranno d’estate? Tanti non hanno nemmeno i buchi in facciata, quei buchetti indicatori che si ha l’impianto con motore interno. Che voglia di accettare finalmente quell’aperitivo realizzato dal vicino sempre odiato che fa rumore con la tv solo per vedere come avrà risolto il problema.  Quando non puoi mettere il classico motore fuori, magari su un terrazzo e su un balcone, si entra nella terra del compromesso. Il Pinguino è la scelta basilare. Rumoroso, scomodo, però. L’Unico? Un mammozzone che opera senza unità esterna, ma praticando i due carotaggi tipo metro C o Lilla, è invece pure rumoroso, e orrendo a vedersi. Qualcuno sostiene che serve anche un secchio dove mandare la condensa con un tubicino, tipo catetere. Neanche colui che ha rivoluzionato l’aria moderna, sir James Dyson, è riuscito a risolvere il problema. Con che fiducia ci eravamo affidati a lui e ai suoi periscopi scricchiolanti e sovrapprezzati, ma oltre a far molto rumore, ad essere – siamo onesti – orrendi, i suoi ventilatori refrigeranti non servono a niente. 
Il motore dell’aria condizionata logora chi non ce l’ha: dopo un po’ sei ossessionato, guardi quei buchi nei muri con quegli occhietti, con invidia.   Poi a un certo punto ti imbatti nelle estreme ricerche notturne su Google e trovi “motore ad acqua”, specialisti in. Vai da quel moderno prestigiatore che promette di “trasformare completamente il concetto di aria condizionata”. “Il motore verrà alimentato ad acqua, non ad aria”, dice, come non averci pensato? Promette prestazioni più stabili, “Più comfort” – qualunque cosa voglia dire – trasformando un normale motore in anfibio. Ti offre due preventivi: con una marca “cinese”, e poi con “Daikin”, Daikin lo pronuncia con rispetto, come il Prada dei condizionatori. Poi manda i preventivi: per tre stanze, settemila con la sottomarca, dieci col Prada. Diecimila euro. Più del valore catastale della casa di nonna (se arriva la patrimoniale, o la riforma del catasto, crolla tutto il sistema, il paese, le famiglie, è chiaro). Ovviamente parliamo di un impianto con le orride canaline a vista di plastica, mica il centralizzato, ormai mito socioeconomico di classi sociali solo immaginate. 

Ma che è successo ai condizionatori? Sembrava un diritto acquisito come la pillola e invece ce l’hanno tolto. “Eh, dottò, ma che non lo sa? I prezzi sono raddoppiati, coi bonus e tutto”. In effetti ci si era resi conto. Una volta, sul classico volantino  Expert, i condizionatori stavano a 699 in offerta. Oggi te li trovi, già ridotti con “lo sconto in fattura del 50 per cento”, a 799. In più devi mettere il montaggio, che è di 500 euro per ogni “split” (“split” è un termine che impari presto quando entri nell’incubo del condizionatore, come Btu, e pompa di calore, principio fisico che permette  – credo – di scambiare il calore di una materia con un’altra, ma avendo fatto il classico ti sforzi di capire senza arrivarci mai). Secondo Assoclima, il mercato italiano dell’aria condizionata  ha superato nel 2022  i 3 miliardi di euro, con un incremento del 35,5 per cento rispetto al 2021.   E però è diventato un bene di lusso. Chi ce l’ha, lo usa con moderazione. Nelle palestre, luoghi dove prima si rischiava l’ibernazione, ora muori di caldo; se protesti ti dicono che è per la sostenibilità (le palestre sono i nuovi taxi. Anzi i taxi ormai la tengono accesa, l’aria, fiaccati dalla guerra persa contro il pos, o sentendo arrivare la fine della loro epoca; volendo godersi gli ultimi splendori, o forse solo accaldati, vabbè). 

Di più su questi argomenti:
  • Michele Masneri
  • Michele Masneri (1974) è nato a Brescia e vive prevalentemente a Roma. Scrive di cultura, design e altro sul Foglio. I suoi ultimi libri sono “Steve Jobs non abita più qui”, una raccolta di reportage dalla Silicon Valley e dalla California nell’èra Trump (Adelphi, 2020) e il saggio-biografia “Stile Alberto”, attorno alla figura di Alberto Arbasino, per Quodlibet (2021).