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Architetture su carta

Andrea Bentivegna

Quattro protagonisti del secondo Novecento italiano, materiale prezioso, un tema ben circoscritto, e un allestimento felice. "Architetture a regola d’arte", al MAXXI di Roma, dimostra che c'è un’alternativa alle mostre che affrontano temi universali e si perdono immediatamente di vista

Di solito le mostre, specialmente se di architettura, o sono delle grandi rassegne collettive oppure affrontano temi universali che si perdono però immediatamente di vista lasciandoci interrogare su ciò che stiamo osservando. In un simile panorama Architetture a regola d’arte, da poco inaugurata al MAXXI di Roma, dimostra che un’alternativa c’è. Quattro protagonisti del secondo Novecento italiano, materiale prezioso, un tema ben circoscritto, e – non secondario – un allestimento felice. Si ha così l’opportunità di ripercorrere quanto di meglio l’architettura italiana abbia rappresentato negli ultimi settant’anni attraverso il lavoro dei BBPR (acronimo dei cognomi Banfi, Belgiojoso, Peresutti e Rogers), Costantino Dardi, il duo Monaco-Luccichenti e Luigi Moretti. Tutti materiali recentemente entrati a far parte degli archivi del museo e utilizzati qui dal curatore, Luca Galofaro, per illustrare il rapporto tra arte e architettura. Così abbiamo la possibilità di immergerci nella riproduzione del mitico allestimento dei BBPR per la michelangiolesca Pietà Rondanini al Castello Sforzesco o il loro progetto per l’Olivetti store di New York in cui Nivola aveva realizzato una scultura grande un’intera parete.

  

Poi è la volta dei solidi platonici di Dardi mutuati dalla pittura rinascimentale che l’architetto trasforma in apparizioni metafisiche per le mostre sulla Transavanguardia e su Etienne Louis Boullée, quest’ultima ideata come scenografia del film Il Ventre dell’Architetto di Peter Greenaway dell’1987. Quindi l’opera di Vincenzo Monaco e Amedeo Luccichenti, un tempo poco più che “palazzinari” e oggi finalmente celebrati come professionisti sofisticati capaci di coinvolgere nei loro progetti il meglio dell’arte italiana, da Consagra a Franchina fino a Severini.

 

Infine, Luigi Moretti e il suo personalissimo e istrionico rapporto con pittura e scultura, dall’esperienza di gallerista – sarà il primo a credere nell’astrattismo capogrossiano – fino allo studio dei grandi del passato da Giotto a Michelangelo; quest’ultimo una vera ossessione al punto che nel 1964 gli dedicherà un incredibile documentario del quale per anni si è solo favoleggiato e che, finalmente, in questa mostra è visibile al grande pubblico. 

 
L’allestimento, come detto, è poi particolarmente riuscito alternando per ognuno dei quattro protagonisti un ambiente principale nel quale è esposto il lavoro e uno più intimo e contenuto in cui sono raccontati aspetti maggiormente personali e biografici. E’ qui che incontriamo il materiale meno ortodosso e per questo forse ancor più interessante. Ci sono infatti i dolcissimi disegni che Dardi e la moglie, l’artista Elisa Montessori, realizzano per la loro figlioletta o le sorprendenti foto che Luigi Moretti scattava alle baracche sulla spiaggia per finire con Vincenzo Monaco in tunica, nel deserto di Tunisi, immortalato con il dito indice verso l’alto quasi come il Platone della Scuola di Atene. Finalmente insomma, una mostra a regola d’arte.

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