Terrazzo

Mas blues: l'Accademia Costume & Moda nella sede dei Magazzini allo Statuto

Michele Masneri

Il palazzone che occupa un intero isolato del quartiere romano dell'Esquilino riaprirà per ospitare la scuola da cui sono usciti stilisti famosi come Frida Giannini e Alessandro Michele. Las toria 

Proprio mentre “Mas” l’acronimo dannunziano “Memento audere semper” (con la e lunga, si ricorderà chi ha fatto il privilegiato liceo classico), risorge a nuova vita, tra le maglie di Enrico Montesano che causano espulsioni (e del resto il padre dell’attore era lo storico portinaio del palazzo del Drago a via Quattro Fontane, dove stava la sede del Msi), finisce la storia molto romana dei Magazzini allo Statuto, lo storico negozio di piazza Vittorio Emanuele chiuso quasi sei anni fa dopo un lungo declino. Adesso il palazzone che occupa un intero isolato e lato della piazza riaprirà come nuova sede dell’Accademia Costume & Moda, da cui sono usciti stilisti famosi come Frida Giannini e Alessandro Michele, i due ex direttori creativi di Gucci. 

 

      
Mas è stato simbolo della rinascita e della decadenza del quartiere Esquilino: fondato dai piemontesi con portici molto Torino e molto inadatti al clima romano, divenne sede di negozi lussuosi soprattutto di corredi da sposa. Poi arrivò un lungo e inesorabile declino per la piazza Vittorio Emanuele, la più grande di Roma, una specie di Place des Vosges però non coi raffinati antiquari ma con friggitorie cinesi e “clinica iPhone”.  Simbolo dell’impossibile gentrificazione romana, Mas è stato per anni un mall innovativo; all’origine era uno dei "Magazzini generali del risparmio" fondati da Crescenzo Bondì, che sposò una Zevi della dinastia di archistar radicali  (che continuano in parte ad abitare in zona); inventava delle speciali performance; aveva istruito alcuni commessi a lanciarsi in finti suicidi dai tetti dei suoi negozi, per atterrare tra gli applausi (ma il popolo non sapeva, quindi si riuniva, si stupiva, arrivavano i titoli dei giornali, insomma marketing geniale per niente basico). 

 

Poi divenne "Magazzini Castelnuovo" dai nuovi padroni, e durante il fascismo divenne meno ebraicamente Magazzini Roma. Nel 1954 arrivò finalmente l’acronimo Mas, dal nome di via dello Statuto. Primi a Roma a sperimentare le rate  e la pubblicità, Mas era una Rinascente romana. Il jingle Vieni da Mas era stampato sui 45 giri. E le grafiche sofisticate di Heinz Waibl, allievo di Vignelli e collaboratore dei Castiglioni, davano un tocco di milanesità però più pop. Sempre in  bilico tra arte e trash, poi vennero le réclame con Alvaro Vitali con berretto da Pierino (Becchete sta gattata!); il video del “Supercafone” del Piotta, infine la nobilitazione autoriale (“The show Mas go on”, presentato a Venezia di Rä di Martino con Iaia Forte e Sandra Ceccarelli). Prima di chiudere, Mas era rimasto punto di riferimento interclassista: coperte militari e mutande e calze di robusta lana che punge per il popolo. Per le élite, méta sicura per costumi di carnevale – lì potevi trovare uniformi da chirurgo, da pasticcere, da pilota d’aereo, o semplicemente gite e flânerie tra gli spazi sconfinati di quel magazzino, tra reparti pellicceria, quelli dedicati ai gioielli, ma anche equipaggiamenti militari, perdendosi in polverosi e affascinanti meandri. 


Mas sembrava l’ultimo irredimibile pezzetto dell’irredimibile Esquilino, il quartiere tra Termini e Monti dove negli anni tra gli alberghetti e i ristoranti cinesi e i negozi arabi e il mercato multietnico e la vicinanza fatale con la stazione si sperava sempre in una gentrification che non arrivava mai. Ma da qualche anno, ecco incredibilmente bar giusti, ristoranti decorosi, risistemazione del parco e di quello gemello di piazza Dante (con annessi Servizi segreti). Lì da anni nel quartiere si era installata una speciale classe sociale, noi, fascia alta dei morti di fame, scrittori e sceneggiatori e giornalisti inabili a comprare da altre parti del centro storico. “Che simpatica! Così viva! Così multietnica”, diceva della zona chi ci veniva a trovare, tenendo ben stretta la borsa (ma poi, altri: “Ma arriveranno, i taxi, qui?).

 

La libreria Mondadori ha sempre avuto vita difficile; a piazza Vittorio c’è del resto una concentrazione tale di scrittori e uffici stampa di case editrici che vige una perfetta economia circolare o del baratto di libri fisici e pdf. Tabaccai e barbieri hanno libri in vetrina ed effettuano bookcrossing, in eccesso di offerta. Nonostante questo, Feltrinelli sprezzante del pericolo aprirà presto un nuovo punto vendita qui, e sarà la definitiva consacrazione. Da piazza Vittorio parte poi una linea della speranza, la metro A, che porta verso la mecca del quartiere Prati, e lì produttori di cinema e di serie tv, e La 7 e la Rai, per sbocchi più redditizi e sceneggiature e ospitate. C’è poi un’aristocrazia di piazza Vittorio, Paolo Sorrentino sopra tutti, garante col suo attico dei valori immobiliari e autoriali della piazza (ma adesso si è spostato ai Parioli). E poi Francesco Piccolo, e Matteo Garrone, Goffredo Fofi, e Nicola Lagioia, ed Elena Stancanelli, e forse pure Elena Ferrante. E  l’attore Tommaso Ragno, e tanti altri, insomma.  A fare da argine verso via Merulana e il più affluente Colle Oppio, il celebre bar Panella, che coi suoi prezzi altissimi costituisce una specie di emirato o stato cuscinetto verso zone più pregiate. Adesso il quartiere è molto migliorato, a parte i poveri homeless al freddo tra i  nugoli di monnezza che ricoprono come neve strade e marciapiedi (ma en attendant il termovalorizzatore, il negoziante romano mai imparerà a spazzare davanti alla sua vetrina, come invece il suo omologo milanese ha accettato da decenni, senza aspettare lo Stato?). 

 

    

Mas però sembrava destinato a star lì per sempre, simbolo di immobilità romana, con la “u” di “Magazzini allo Statuto”, che, narravano le leggende, era bruciata per cortocircuito nel 1958, mai riparata. Adesso imprevista arriva la Moda; la società civile esquilina cerca in qualche modo di comprare o salvare le letterone bruciacchiate dell’insegna che sono state tirate giù, forse ricompariranno in qualche casa tra gli Adelphi (ma un’altra scritta rimossa, quella di CasaPound, solo due vie più in là, avrà invece trovato altri sbocchi e altri collezionismi, vabbè). 
 

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  • Michele Masneri
  • Michele Masneri (1974) è nato a Brescia e vive prevalentemente a Roma. Scrive di cultura, design e altro sul Foglio. I suoi ultimi libri sono “Steve Jobs non abita più qui”, una raccolta di reportage dalla Silicon Valley e dalla California nell’èra Trump (Adelphi, 2020) e il saggio-biografia “Stile Alberto”, attorno alla figura di Alberto Arbasino, per Quodlibet (2021).