Terrazzo

Sfrattare l'economia

Michele Masneri

Un presidente-architetto. Quarant’anni fa Mitterrand cacciava il ministero in periferia per far posto al “Grand Louvre”

Tutti più o meno si ricordano il Louvre con la piramide di cristallo di I.M. Pei; pochi ricordano (o erano nati) quando scoppiò la colossale polemica. Una piramide di vetro e acciaio dentro la “cour Napoleon”, apice del progetto del “Grand Louvre” che era il sogno architettonico di François Mitterrand. Presidente-architetto per eccellenza. “L’architettura è la più completa delle arti”, disse in un’intervista. “Perché fa appello a tutte le altre”.

 

Appena arrivato all’Eliseo nel 1981, mentre i grandi ricchi di Francia fanno le valigie temendo che si instauri una specie di comunismo fiscale (leggendari i conciliaboli tra Pierre Bergé e Yves Saint Laurent), Mitterrand commissiona piuttosto le sue stanze lussuosissime a una infilata di designer giovanissimi capeggiati da Philippe Starck che ha fatto solo il Caffè Costes. E un articolo del New York Times celebra questo architetto che non ha studiato architettura, “così diverso da Andrée Putnam”. 'Monsieur Costes voleva che facessi un grande caffè popolare. Ho ricercato l’essenza del caffè e mi sono chiesto come si crea qualcosa di moderno basato su una forma arcaica'. Il progettista decise che doveva essere 'bello e triste, come il buffet della stazione ferroviaria di Praga'. Non importava che né il signor Starck né il signor Costes fossero mai stati lì. 'Volevo mostrare una certa gioia e piacere nella malinconia', ha detto il signor Starck. 'Amanti che bevono tè bruciato e salutano sotto un enorme orologio che ricorda la morte'”. 

 

Intanto Mitterrand mette in piedi una sfilza di opere pubbliche che cambieranno il volto di Parigi: il Museo d’Orsay affidato a Gae Aulenti (trasformando una vecchia stazione ferroviaria); la Villette, un parco di scienza e tecnologia; il favoloso Istituto del Mondo arabo affidato agli occhietti mobili di Jean Nouvel; l’Opéra Bastille; la Biblioteca nazionale, ma soprattutto il più importante, quello che gli sta più a cuore, il Grand Louvre. I “Grands travaux” vengono annunciati pochi mesi dopo l’elezione. Mitterrand si riallaccia a una grande tradizione: non solo monarchi ma anche presidenti (Pompidou aveva lasciato il progetto per l’omonimo centro). Il Grand Louvre però si rivelerà l’opera più importante ma anche più faticosa, e ha un effetto collaterale, scacciare il ministero dell’Economia. Immediatamente l’idea di destinare tutto il palazzo a museo, triplicandone gli spazi, terrorizza gli impiegati pubblici residuali che non ne vogliono sapere di andarsene dal centro città al mammozzone di Bercy. Mitterrand vuole liberare il centro dalle burocrazie, espandendo la città, spostando a Bercy le Finanze. 

 

Paragonato a una stazione, a un casello di pedaggio dell’autostrada, il palazzo disegnato da Paul Chemetov, con un piede nel fiume e la sua estetica “mussoliniana-staliniana”, come si disse all’epoca, pur avendo vinto un concorso tra 137 architetti, scatena una polemica senza fine. “Abbiamo un’idea diversa di stato”, borbotterà anni dopo Mitterrand. “Ma rimane un buon architetto”. Ma intanto la Piramide diventa un simbolo della Francia del bicentenario della Rivoluzione oltre che uno spot colossale per l’industria francese (in particolare del vetro. La Saint Gobain è richiesta di produrre un materiale ad altissima resistenza e trasparenza). Mitterrand si occupa personalmente dei materiali. Anche della negletta Bercy. Si raccomanda che la pietra sia di un certo tipo. Quando il modellino del ministero delle Finanze viene consegnato all’Eliseo, da un camion carico di campioni di pietra e cemento levigato, Mitterrand ascolta attentamente le spiegazioni dei progettisti e poi interviene: “Non dimenticate la pietra di Vézelay”.  

 

Il progetto di Bercy viene lanciato esattamente 40 anni fa, a dicembre 1982. Diventa il più grande cantiere d’Europa con 250 imprese coinvolte. Ma il ministro dell’Economia, Edouard Balladur, non vuole assolutamente andarsene dal palazzo del Louvre. Ancora meno se ne vuole andare la burocrazia. “Se non vogliono uscire dal palazzo usciranno dal governo”, tuona Mitterrand. Niente. Allora Jack Lang, leggendario uomo-cultura del mitterrandismo, ha l’idea definitiva. Fanno demolire l’ufficio del ministro. Quello arriva una mattina e non c’è più l’ufficio, solo calcinacci Napoleone III. A quel punto Balladur va a visitare un altro ufficio, ma “non è al nostro livello”, sospira. E il trasloco nell’edificio di Bercy ormai è cosa fatta.

 

Intanto prende forma il Grand Louvre. Mitterrand è terrorizzato che il progetto, alla fine del suo primo settennato (1981-1988) venga bloccato dai nuovi arrivati. Va tutti i giorni in cantiere, si assicura che gli avanzamenti dei lavori siano tali che non si possa più tornare indietro. Nel frattempo monta la polemica: Mitterrand si crede un re; anzi peggio, un faraone. Le proteste cessano ovviamente a opera finita. Mitterrand vi tiene il G7 (sotto la piramide, Margaret Thatcher, Helmut Kohl, e De Mita). Vi ambienta le sue uniche foto ufficiali posate. Lontano dal Louvre, infatti, il presidente maniaco dell’immagine, che si era fatto smussare i canini per apparire meno lupesco su consiglio del suo fido Jacques Séguela, voleva essere ripreso solo in movimento.