Foto Epa via Ansa

Terrazzo

A Venezia la materia solitaria di Bosco Sodi

Cubi, sfere e pigmenti a palazzo Vendramin, nella città festivaliera e spopolata 

Come molti palazzi veneziani che si affacciano al sole del Canal Grande, anche Palazzo Vendramin Grimani ha il suo accesso (pedonale) da una sconta che si raggiunge fiancheggiando campo San Polo, poco dopo lo storico barbiere, la farmacia e l’ufficio postale, un angolo della città lagunare ancora intatto quasi a dimostrare l’esistenza oltre che la resistenza di una cittadinanza e della sua quotidianità. Ed è proprio partendo dall’elaborazione di un legame stretto e intimo con la città che ha preso forma la residenza dell’artista messicano Bosco Sodi. What Goes Around Comes Around è infatti l’esito di una residenza aperta al pubblico e la vera e propria messa in mostra delle opere elaborate nei mesi scorsi e frutto della cura di Daniela Ferretti (sue con Axel Vervoordt le meravigliose mostre fatte a Palazzo Fortuny prima che fosse ridotto alla sua  stessa parodia), Dakin Hart e della Fondazione dell’Albero d’Oro che si è anche occupata dell’accurato restauro del palazzo. Il dialogo prende forma fin dall’ingresso appartato, i volumi interni di Palazzo Vendramin Grimani non tradiscono lo splendore e la lucentezza di un’architettura potente e monumentale che al tempo stesso le opere di Bosco Sodi rivelano e mimetizzano, qui il concettuale diventa forma pura, la pratica materica assume i contorni di una teoria in continua e rapida elaborazione. I tempi di asciugatura delle tele all’aria della laguna durante la residenza rivelano ora la loro compatta e icastica forza riflettente, i pigmenti rossi esprimono una luce in relazione con quella del Canal Grande filtrata dalle grandi vetrate del palazzo. Le opere appaiono al centro della scena come blocchi assurdi eppure naturali quali oggetti attraversati da una vivida presenza. Si gira e si ruota attorno ai blocchi di argilla smaltati di rosso, ma il desiderio è solo quello di scivolare con le dita delle mani sulle superfici lisce fino a incontrare le spaccature e le fratture che gli angoli e le pareti rivelano. Desiderio che viene totalmente esaudito nell’ultima sala espositiva dove si palesano 195 piccole sfere modellate con l’argilla di Oaxaca simboleggianti gli stati riconosciuti dall’ONU. Ad ogni visitatore è data la possibilità oltre che di toccarle anche di spostarle o farle rotolare disponendo giorno dopo giorno una nuova forma dell’installazione. Globi d’argilla che danno forma con il loro movimento alle relazioni che intercorrono tra gli Stati, ma anche alle possibilità dell’abitare oggi messo così drammaticamente in pericolo dai cambiamenti climatici come - in un certo senso - dai flussi turistici che forse non a caso assumono sempre più non tanto la forma di una scoperta, ma di una fuga: dalla propria casa, dal proprio lavoro e dai propri forse esauriti affetti. A fine mostra (chiude il 27 novembre) ognuna dei 195 globi/nazione potrà finirà a uno dei 49.999 residui residenti veneziani sperando che possano conservare ancora la capacità di contenere dentro la propria città e la propria anima il mondo intero come da sempre ha saputo fare Venezia.
 Giacomo Giossi

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