Terrazzo

Frank Gehry, alla casa del risparmio

Michele Masneri

Da Santa Monica ai grandi musei, la villetta che lo lanciò

Si sa che per gli architetti spesso le case per sé sono un disastro, ma per Frank Gehry, forse l’archistar più archistar che c’è, non è stato così. La villetta costruita per la famiglia a Santa Monica nel ’78 lo lanciò alla grande, in maniera del tutto imprevedibile. La storia la racconta lui alla rivista Pin-Up. “Avevamo due figli e pochi soldi”, ha detto l’architetto ormai novantaduenne. “Mia moglie Bertha vide una casa, una vecchia casa di stile coloniale, e su insistenza di mia madre, la comprò. Il fatto è che non avevamo soldi, e ci serviva un modo veloce per rifare la cucina e aggiungere una camera da letto. Così l’idea: invece di buttarla giù, ne aggiungemmo solo altri pezzi, ma facendo in modo che la casa originale restasse visibile. E con vasto uso di materiali non ortodossi, tra cui soprattutto il corrugato di alluminio, cioè l’ondulato di lamiera. Facemmo tutto con 50 mila dollari”.

 

 

Da lì nasce tutta la poetica gehriana che gli porterà gran fortuna e fama di autore di edifici costosissimi, come il museo Guggenheim a Bilbao (1997) o la Walt Disney Concert Hall a Los Angeles (2003). Il tutto cominciato con quella costruzione pauperistica. Che all’epoca non fu apprezzata da tutti: “Un vicino era un avvocato, e mi fece pure causa”.

 

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  • Michele Masneri
  • Michele Masneri (1974) è nato a Brescia e vive prevalentemente a Roma. Scrive di cultura, design e altro sul Foglio. I suoi ultimi libri sono “Steve Jobs non abita più qui”, una raccolta di reportage dalla Silicon Valley e dalla California nell’èra Trump (Adelphi, 2020) e il saggio-biografia “Stile Alberto”, attorno alla figura di Alberto Arbasino, per Quodlibet (2021).