Turisti in gondola lungo il Canal Grande a Venezia, nel1954. Sullo sfondo il Ponte di Rialto (Charles Hewitt / Picture Post / Hulton Archive / Getty Images) 

Terrazzo

Peggio Trump o l'usufrutto italiano? David Leavitt e il razzismo immobiliare

Michele Masneri

Questioni di pianerottolo e questioni di arredatori nell'ultimo libro dell'autore, che ripropone l’eterno topos dei ricchi americani a Venezia

I libri degli americani sull’Italia sono sempre pieni di deliziose situazioni tra “the Contessa” e “the Piazza” e “the Palazzo” in italiano nel testo. E Il decoroultimo libro di David Leavitt (appena uscito nell’economica Feltrinelli) ripropone l’eterno topos dei ricchi americani a Venezia. Qui nello specifico una Eva, nevrotica riflessiva newyorchese, stravolta dalla vittoria di Trump, decide di comprarsi uno “shelter”, un rifugio (il titolo originale sarebbe infatti Shelter in place), nel caso vi sia da abbandonare il paese per golpi o rivoluzioni (dunque, in un certo senso previdente, essendo il romanzo ambientato nel 2016).

  

   

Lo trova appunto a Venezia, dove una similcontessa mezza americana squattrinata decide di vendere. Da lì comincia tutta una serie di guai che fanno rivalutare (almeno al lettore) l’America di Trump. Soprattutto usi immobiliari bizzarri italiani, a partire dall'usufrutto: cos’è mai un usufrutto, chiede un'amica di famiglia al marito di Eva, finanziere e finanziatore (del palazzo), oltre che democratico però dialogante. Per esempio non evita il vicino di casa americano che ha votato per Trump, e non porta i suoi quattro cani “tutti con nomi tratti da romanzi di Henry James”, a pisciare sullo zerbino del nemico. La moglie invece è certa che i suddetti cani jamesiani abbiano cambiato comportamento da quando il marito li scende insieme a quelli repubblicani, che non hanno nomi jamesiani.

  

Ma i cani jamesiani sono rimasti traumatizzati, è evidente. Il marito è pure traumatizzato, e molto scettico su questa cosa del palazzo a Venezia. L’usufrutto, risponde, “è quando uno vende ma a patto che le permettiamo di continuare a tenerselo” (pragmatismo americano). Poi c’è tutta una questione di un pianerottolo, che in una divisione ereditaria non si sa a chi tocchi. E dunque va comprato da dei cugini ed è sicuramente una truffa. Poi “sai che c’è sempre da pagare una mazzetta, in Italia”.

 

Insomma, romanzo ad alto tasso di razzismo immobiliare (chi ha vissuto in America sa l’incubo di comprare casa lì.  E del resto Obama aveva assoldato una squadra di notai italiani nel momento più nero della crisi dei mutui. Capitava infatti che ignari non possessori di case si ritrovassero debiti per case mai comprate). E dire che Leavitt conosce ormai benissimo il paese, anche immobiliarmente, tanto da citare, qui, il sublime arredatore milanese Roberto Peregalli. Lui sarebbe un’opzione per questa benedetta casa di Venezia. Perché un’altra questione del libro è che l’arredatore americano prescelto proprio non ci vuole andare, a Venezia. Avrà i suoi buoni motivi, non immobiliari ma esistenziali, ma non si possono assolutamente svelare perché ne va del plot. 

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  • Michele Masneri
  • Michele Masneri (1974) è nato a Brescia e vive prevalentemente a Roma. Scrive di cultura, design e altro sul Foglio. I suoi ultimi libri sono “Steve Jobs non abita più qui”, una raccolta di reportage dalla Silicon Valley e dalla California nell’èra Trump (Adelphi, 2020) e il saggio-biografia “Stile Alberto”, attorno alla figura di Alberto Arbasino, per Quodlibet (2021).