Terrazzo

Il teatro dell'architettura di Botta

Che Botta a Mendrisio! La mostra dedicata all'architetto. Una mostra e un libro

Manuel Orazi

Sulle tracce della scuola fondata da Mario Botta, un'opera d'arte totale e collettiva

Secondo Bruno Pedretti l’architettura, a differenza dell’arte o dell’artigianato, è una questione di profezia: in altre parole un progetto è sempre un esercizio di proiezione e di propaganda per ottenere il consenso necessario alla sua realizzazione – Aldo Rossi diceva che un’architettura costruita, anche piccola, è sempre un’utopia realizzata viste le lungaggini per i permessi, il budget, il cantiere ecc.

 

Anche una scuola è un’opera di architettura o meglio, nel caso di quella fondata da Mario Botta, una Gesamtkunstwerk, nel senso che Richard Wagner ne aveva dato, cioè un’opera d’arte totale e collettiva rivolta verso l’avvenire in cui le arti singole sono subordinate ad un unico proposito. Questa è almeno la chiave proposta dai curatori della mostra aperta al Teatro dell’architettura Mendrisio  “Architettura che fa Scuola”, promossa in occasione delle celebrazioni del 25° dell’Università della Svizzera italiana, affiancata dal libro Tracce di una scuola. Accademia di architettura a Mendrisio 1996-2021, (Mendrisio Academy Press/Electa, 35 €).

 

Il deus ex machina è naturalmente lo stesso Botta, nato a Mendrisio, cresciuto a Lugano e Milano, laureatosi infine a Venezia alla fine degli anni Sessanta potendo avvicinare architetti del calibro di Le Corbusier, Louis Kahn e Carlo Scarpa. Altri tempi, ma "Todo cambia", recita la canzone preferita da Papa Bergoglio, e certamente è cambiato il Canton Ticino. Quando nacque Botta, durante la guerra, era una terra povera e quindi di emigrazione, difficile a credere oggi che, al contrario, è divenuta meta d’immigrazione perlomeno universitaria, anche se basta leggere la formazione della nazionale svizzera per capire quanto la Confederazione sia divenuta multicuturale.

 

Non è facile rappresentare l’attività di una scuola, ma un modo è senz’altro quello di visitare gli edifici che la compongono, da Palazzo Turconi che contrasta con la scultura gigante di Niki de Saint Phalle sotto il timpano neoclassico alla dirimpettaia Villa Argentina con il suo parco delimitato dal Canavee di Amr Soliman e Patrik Zurkirchen, che contrasta a sua volta con la simpatica osteria vignetta, punto di ritrovo del quartiere che ancora ospita un campo di bocce.

 

L’ultimo arrivato nel campus è il Teatro dell’architettura, progettato sempre da Botta, che è sia spazio museale sia spazio didattico. Inevitabile che, nonostante la cura di Pedretti, di Marco Della Torre e Riccardo Blumer (attuale direttore), la mostra e il libro siano anche una (auto) celebrazione dell’architetto ticinese, ora che si è ritirato dall’insegnamento, ma nonostante la sua oggettiva e preponderante centralità, la scuola è divenuta un’entità plurale, all’opposto dell’idea di “facoltà di tendenza” che lo Iuav di Venezia perseguì poco dopo che Botta se ne andasse, cioè con il rettorato di Carlo Aymonino.

 

Pertanto giovandosi delle molteplici relazioni del suo fondatore, l’Accademia è diventata una scuola plurale, a partire dal primo direttore Aurelio Galfetti, ben diverso da Botta, che lo ha affiancato per invitare nel corso degli anni a Mendrisio alcuni fra i massimi storici dell’architettura mondiale (Leonardo Benevolo, Kenneth Frampton, Francesco Dal Co, Bruno Reichlin, Werner Oechslin, Jacques Gubler, Fulvio Irace, Jean-Louis Cohen), dell’arte (Carlo Bertelli, Salvatore Settis), filosofi (Massimo Cacciari, Giorgio Agamben, Nicola Emery), progettisti (Peter Zumthor, Bijoy Jain, Walter Angonese, Aires Mateus, Kerten Geers, Grafton Architects, Valerio Olgiati, Jonathan Sergison) e molti altri ancora.

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