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La Silicon Valley vuole creare la Buona scuola 2.0

Michele Masneri

 Da Zuckerberg a Netflix fino ai presidi manager e all'appello di Marc Benioff, boss di Salesforce

San Francisco. “Dovete ragionare più da startupper che da presidi!”. In Italia subito ci sarebbe una manifestazione, un Tar con un’ordinanza, un appello contro la deriva autoritaria su MicroMega. In Silicon Valley, ecco l’appello di un magnate per una buona scuola 2.0. Si chiama Marc Benioff, è il boss di Salesforce, colosso del software, e sta donando 100.000 dollari (cadauno) ai presidi delle scuole sanfranciscane perché cambino il loro modo di gestire l’insegnamento. Salesforce è la vera padrona di San Francisco, colosso del software di gestione, ha un’etica ed estetica old economy e sta tirando su il grattacielo più alto della città, che si vedrà da ogni parte della baia. E il suo ceo Benioff coltiva ambizioni egemoniche pure in campo culturale, inserendosi nel solco di una grande tradizione locale: qui la famiglia Stanford mise su, in memoria di un erede morto tragicamente in Italia, una discreta università in una loro fattoria – inizialmente dedicata a futuri agricoltori, tanto che oggi si dice “hai fatto anche tu ‘the farm’” tra gli accoliti snob. A Berkeley officiavano gli Hearst, a cui sono dedicate strade (quella principale), e ritratti, quello della fondatrice Hearst (che bisogna omaggiare tipo mamma del direttore galattico Catellami per ragioni scaramantiche). Poi sono arrivati i siliconvallici, a modo loro.

 

Con le scuole non si può stare tranquilli un attimo. In questi giorni stanno per arrivare le vacanze, le famiglie stremate portano i piccini col loro suv ibrido. Le scuole riaprono presto, ad agosto, quando riprende la vera estate qui. Si era sottovalutato il detto di Mark Twain, “l’inverno più freddo della mia vita fu un’estate a San Francisco”, in questi giorni nebbia come a Brescia negli anni Ottanta e vento gelido tipo Bora. Gli italiani di stanza in Silicon Valley stanno facendo i bagagli per la consueta transumanza, in attesa appunto che i piccini finiscano le scuole. Chissà cosa troveranno al ritorno. Peter Thiel, pontiere tra Silicon Valley e Casa Bianca, ha la sua famosa borsa di non-studio, 100 mila dollari ai ragazzini che abbandonano gli studi per fare la loro startup. Il quasi omonimo Xavier Niel offre vitto e alloggio gratis per programmatori talentuosi con la sua filiale californiana della scuola 42. L’italiana Valentina Imbeni, figlia del celebre sindaco di Reggio e Bologna, tra la via Emilia e il West, non trovando scuole adatte per i bebè ha fondato la sua, con approccio Montessori 2.0, bilingue Italia-Usa, va benissimo, c’è andato pure Renzi ad omaggiarla. E ora arriva il ceo di Salesforce che vuole fare la sua buona scuola 2.0, con la trovata dei presidi-manager (tipo in Italia tormentone atavico, però senza imprenditori disposti a regalare il cash).

 

Nel frattempo Mark Zuckerberg non solo si è creato la sua scuoletta a Palo Alto, gestita dalla moglie, ma da un anno sponsorizza con 100 milioni un programma di apprendimento via computer dei ragazzini. Seguiti a ruota da tutti gli altri: Microsoft ha appena lanciato “Skype in the Classroom” per lezioni a distanza, Google ha la sua App per Education per scambiare compiti e pagelle. Tutti vogliono fare esperimenti sulla scuola. Secondo il New York Times, alla fine è arrivata pure Netflix. Il suo ceo Reed Hastings sostiene che “in una società democratica come la nostra, è salutare che ci sia un dibattito sui veri obiettivi della scuola”, lui nel caso specifico ha investito 11 milioni di dollari in Dreambox Learning, un programma che consente ai ragazzini di studiare matematica usando lo stesso algoritmo delle serie tv.

 

Pare che tutto sia iniziato quando al fondatore di Salesforce un preside col cappello in mano ha chiesto soldi per mettere il wi-fi a scuola, e quello si è esaltato, “dovete pensare in grande!”, creando una specie di fondo di investimento dotato di 100 milioni di dollari per le scuole di San Francisco. Come al solito è difficile capire quanto sia sincero mecenatismo e quanto diabolico investimento – il mercato del software scolastico vale 20 miliardi negli Usa – ma molti di loro sono seriamente interessati a “make the difference”, anche perché spesso sono dropout, cioè non laureati per scelta o per caso, orgogliosamente o meno, frequentemente con complessi bestiali. Zuckerberg, il fuoricorso più ricco del mondo, ha preso finalmente la laureaa Harvard, e tutto orgoglioso ha detto “mamma, ce l’ho fatta”, forse a seguito di trilioni donati segretamente all’augusto ateneo.