Manifestazione a San Francisco

Ora in California possono governare anche i comunisti

Michele Masneri

Si va verso il pragmatismo macroniano nella terra amata da Renzi 

San Francisco. Mentre il presidente Trump pensa a nuove misure ammazza-turismo come i ban su computer e iPad, la California si attrezza e invece della secessione legalmente difficile cammina a passi spediti verso un pragmatismo macroniano.

    

Ieri infatti il Parlamento californiano ha cancellato una norma degli anni del maccartismo che proibiva ai comunisti di ricoprire ruoli di governo. I dipendenti delle istituzioni californiane potranno ancora essere licenziati per “appartenenza a organizzazioni che puntano a rovesciare il governo con la forza o la violenza” (cioè il sogno di ogni californiano, al momento). Ma per quanto riguarda il Partito, non ci sono finalmente più intoppi.

    

E’ chiaramente un momento storico. E però non si prevedono grandi application da parte di stuoli di aspiranti statali comunisti: il partito in California non è neanche registrato, mentre a livello nazionale ha sede a New York, da vent’anni non presenta un suo candidato alle elezioni presidenziali e alle ultime ha appoggiato timidamente Hillary Clinton (e ultimamente Macron in Francia). Infatti il suo motto è “Radical ideas. Real politics”.

    

Realismo, dunque, e pare difficile una rinascita comunista in terra di California, terra peraltro ricca di vigneti, e forse D’Alema penserà a uno spinoff della sua Madeleine a Napa Valley. Però il compromesso storico qui pare arrivare un po’ in ritardo, tra l’altro in un pericoloso ecosistema. San Francisco come si sa è infatti terra prediletta di Matteo Renzi, che qui al circolo Pd attivissimo, sezione “San Francisco-Berkeley-Silicon Valley” riscuote percentuali come si dice bulgare: al Congresso, la mozione Renzi ha preso il 100 per cento e alle primarie oltre il 70: in una domenica peraltro tipo festa dell’Unità siliconvallica con tanto di gazebo, torneo di bocce e gnocco fritto.

   

Comunque il firmatario della norma, il democratico Rob Bonta di Oakland, l’Occhetto californiano insomma, ha detto che la legge ha la possibilità di “sgombrare il capo da riferimenti arcaici al Partito comunista, soprattutto quelle che prevedono il licenziamento di dipendenti affiliati”. La legge è passata con maggioranza non schiacciante, 41 a 30, suscitando giorni di dibattiti surreali che sembravano una puntata di “The Americans”. “Una legge offensiva per i californiani” ha detto il deputato Travis Allen, raro repubblicano locale, che citando i suoi elettori tra cui molti reduci dal Vietnam (saranno vecchissimi) ha constatato come “il Partito comunista rappresenta tutto ciò che gli Stati Uniti combattono”. “Consentire ai sovversivi di lavorare per il governo è un insulto ai contribuenti che il governo pagano”. Il Pc americano ha un bel simbolo, molto hipster, ha un suo giornale, che nel tempo è diventato solo online (People’s World), organizza tante iniziative tra cui una serie primaverile di “Spring Marxist Classes”, workshop marxisti ovviamente online perché siamo in territorio di startupper. Tra gli ultimi eventi, seminari su “Il movimento dei lavoratori, la democrazia e la resistenza”. Non bisogna comunque dormire sugli allori, perché nell’imperialista Silicon Valley come in tutta l’America è tuttora in vigore l’odioso divieto per i comunisti di insegnare nelle scuole.

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