Come trasformare l'evoluzione fintech in un'opportunità. Consigli alle banche passatiste

Elena Bonanni

    Intesa Sanpaolo è appena volata a Tel Aviv per dare vita a The Floor, nuovo incubatore di start up fintech che raduna anche Royal Bank of Scotland, Hsbc, Santander. Unicredit, dopo aver creato il Fintech accelerator, ha stanziato un chip da 200 milioni per investimenti in start up finanziarie di tutto il mondo. Generali è reduce dal primo corporate hackathon assicurativo italiano per i dipendenti, una maratona no-stop di 24 ore nata nel mondo dei programmatori dove i partecipanti si mettono alla prova nell’ideazione di soluzioni innovative. Prima ancora, a fine 2015, aveva lanciato il Generali Innovation Challenge, per scovare le risposte più innovative alle nuove sfide del business assicurativo. Così come Unipol, che ha avviato nel 2014 un percorso di open innovation (Unipol Ideas) per individuare progetti innovativi legati al tema del futuro della protezione.

     

    Messe una dopo l’altra, queste iniziative – che sono solo alcune di quelle lanciate dagli stessi gruppi – rendono l’idea della trasformazione in atto: i colossi finanziari diventano incubatori di giovani geek tecnologici in cerca della prossima Google finanziaria. Non sono i soli. In giro per il mondo, venture capital e fondi di equity stanno scommettendo in modo deciso sul fenomeno fintech: tra il 2010 e il 2014 sono stati investiti 23 miliardi, di cui la metà solo nel 2014. C’è poi la spinta del crowdfunding: ai primi di marzo la start up Mondo ha raccolto un milione di sterline in appena 96 secondi, dopo aver mandato in crush la piattaforma di crowdfunding Crowdcube. Mondo è – anzi, sarà – una banca online, che funziona solo su smartphone, non ha sportelli, ma neanche uffici.

     

    Nel frattempo le start up fintech si sono moltiplicate: dalle 800 censite ad aprile 2015, McKinsey stima che oggi siano oltre duemila le start up che offrono servizi finanziari tradizionali o innovativi. E ha messo in guardia: “Senza un’azione di contenimento da parte degli istituti di credito, entro il 2025 potrebbe essere a rischio tra il 10 e il 40 per cento dei ricavi delle banche, a seconda del business, in cinque principali settori retail: credito al consumo, mutui, prestiti alle Pmi, pagamenti retail e risparmio gestito”. Dietro il fintech c’è il rivoluzionario mondo dei bitcoin e più in generale di quella che gli esperti in gergo chiamano “blockchain” (una tecnologia che permette di scambiare su internet non solo informazioni ma, per la prima volta, anche proprietà), ci sono i Big Data, gli innovativi servizi di pagamento elettronici e conti correnti che vivono solo sulle app. Conferme  arrivano dal mondo assicurativo, con i consulenti di Capgemini che, nel World insurance report 2016 pubblicato qualche giorno fa, affermano: “La continua evoluzione dell’Internet of Things (IoT), combinata con i comportamenti e le preferenze dei clienti della cosiddetta generazione Y, sono i driver principali che impongono un radicale cambiamento per le compagnie di assicurazione, per non rischiare di restare indietro rispetto a competitor emergenti come le start-up Fintech”.

     

    Del tema si è occupato anche il presidente del Financial stability board (e boss della Bank of England): in una lettera indirizzata ai governatori delle Banche centrali e ai ministri delle Finanze del G20, Mark Carney ha indicato che una delle priorità del 2016 del Fsb sarà quella di “stabilire le implicazioni sistemiche delle innovazioni tecnologiche in ambito finanziario e dei rischi che queste potrebbero innescare”. E’ la prima volta che il tema finisce sotto la lente dei regolatori mondiali, che però precisano: “Non bisogna opprimere l’innovazione”.

     

    Tra tassi di interesse ai minimi storici e i paletti sui requisiti di solidità, i boss delle banche hanno già un gran bel da fare ma non possono permettersi di ignorare il fenomeno. Per McKinsey il segreto è trasformare una situazione che si presenta nei termini della competizione in un percorso di collaborazione competitiva. In altri termini, mettere un geek allo sportello. Le banche ci stanno provando. Unicredit ha deciso di investire in due fondi: uno su start up ben consolidate e uno in start up di nuova costituzione, nel quale la banca agirà come primo investitore. “Tali investimenti strategici – ha spiegato il gruppo – permetteranno di trasformare l’evoluzione fintech in un’opportunità, arricchendo la proposta commerciale del gruppo e accelerando l’evoluzione digitale”. Allo stesso modo Intesa Sanpaolo, attraverso The Floor potrà “effettuare lo scouting esclusivo di realtà fintech israeliane e di svolgere attività di mentoring sulle imprese ritenute di interesse”, dice una nota della banca.