Il giro del mondo con Park Smart. L'app che trova parcheggio pure in India. Parla uno dei fondatori

Elena Bonanni

    Tra ingorghi e sensi di marcia creativi, guidare nel traffico indiano è surreale. Figuratevi se non trovate posteggio. Il delegato del governo indiano in visita la scorsa settimana all’esposizione mondiale sulle Smart Cities di Barcellona non ha così potuto non rimanere colpito da Park Smart, l’app “cerca posteggio” ideata da tre siciliani due anni fa e premiata sia dal progetto Edison Start sia recentemente da Amazon nel concorso City on Cloud; unica start up non americana a vincere. “Vogliono Park Smart in India e ci hanno già chiesto di fissare una riunione per avviare il progetto pilota nella città di Bhopal”, dice al Foglio Carlo Sciuto, esperto di software e cofondatore della start up catanese insieme al figlio Marco, studente di informatica, e all’amico ingegnere Pierluigi Buttiglieri. Da Catania a Bhopal, e poi probabilmente verso Mumbai e Nuova Delhi, ma anche Russia, Sudamerica, Inghilterra, Spagna e Israele. Park Smart è un sistema che permette, attraverso una app collegata al cloud, di conoscere la disponibilità di parcheggi nelle varie zone di una città. Un’idea in sé non nuova nell’ambito delle Smart Cities. Ma che innova nelle modalità di realizzazione: invece di sensori installati sotto il manto stradale, come hanno già fatto diversi concorrenti, Park Smart usa telecamere intelligenti. Telecamere che fanno tutto: non è necessario che vengano trasmesse immagini a una centrale operativa (non si pongono così i problemi di privacy), ma grazie a dei microchip i dati sono elaborati e trasmessi al cloud (uno spazio per immagazzinare dati) che si interfaccia con l’applicazione installata sugli smartphone degli utenti. Ed è stato proprio qui, nel far comprendere la loro tecnologia, che Sciuto e soci hanno incontrato le prime difficoltà. “Quando i sistemi a sensori sono nati, non c’erano le tecnologie adeguate per le telecamere – dice Sciuto – così abbiamo avuto dei problemi a far capire che non scaricavamo le immagini in una centrale operativa esterna e all’inizio in alcune gare ci hanno scartato”. L’idea dei tre fondatori catanesi, oltre a facilitare la ricerca di posteggio, è proporre alle città un sistema che sia economicamente sostenibile e versatile.

     

    In linea con la filosofia delle Smart Cities: “Poche strutture condivise per fare tanti servizi”, dice Sciuto. Da un lato, il sistema permette di recuperare e sfruttare le telecamere già esistenti per altri motivi, integrandole con altre che possono a loro volta essere utilizzate per scopi aggiuntivi, per la sicurezza per esempio (solo se programmate appositamente). Dall’altro, non richiede di sollevare il manto stradale per l’installazione e riduce i costi di manutenzione per i Comuni (che allo stesso tempo vedono le entrate in aumento perché i posteggi a pagamento vengono sfruttati meglio). Entrando in un mercato presidiato da colossi, la seconda preoccupazione della piccola Park Smart era di non mettersi in collisione troppo presto con i grossi competitor e di sviluppare in fretta qualcosa di più potente. “A ogni passo ci si sedeva a tavolino e si cercava una soluzione concordata – dice Sciuto – Abbiamo così capito in tempo che il progetto aveva bisogno di uno sprint tecnico. Con la visibilità e i soldi guadagnati (100mila euro, ndr) grazie al concorso Edison Start abbiamo quindi deciso di iniziare una partnership con l’Università degli Studi di Catania che è all’avanguardia nella video analisi. Siamo così riusciti a sviluppare un software molto avanzato per tecnologia e affidabilità, che funziona anche in situazioni di crisi, come le fronde di un albero che oscillano, la pioggia battente e la nebbia, tutte condizioni che davano problemi alla tecnologia precedente, facendo apparire occupato un parcheggio in realtà libero”. Ora all’Università di Catania c’è un posteggio-laboratorio dove si sperimenta, sei persone lavorano per Park Smart nell’ateneo. E’ stata sponsorizzata una borsa di studio sugli algoritmi su cui si basa il software, attraverso la quale si recluteranno nuovi collaboratori, e nel frattempo è salito a bordo un nuovo “cervello tecnologico”, Giuseppe Patanè. “Non siamo uno spin off universitario – dice Sciuto –  siamo un’idea imprenditoriale che si è rivolta al mondo accademico e la collaborazione è stata vincente. È con l’Università che siamo andati a Barcellona”. Ora si apre la fase più a rischio. “E’ il momento di trovare investitori e crescere – dice Sciuto che finora insieme agli altri soci, oltre ai premi, ha investito soldi propri e ha scelto di non indebitarsi – in 6 mesi dobbiamo salire da 6 assunti a 20-30, abbiamo una ventina di progetti pilota da far partire a breve”. La strategia commerciale non è irrilevante. Dialogare con i comuni in Italia è lungo, “all’estero il problema è opposto la difficoltà è stare dietro all’operatività, vogliono partire subito”.