1929-2025

Lo chiamavano Tenaglia. La vita tra pali e gossip di Lorenzo Buffon

Gino Cervi e Gianni Sacco

L'ex portiere di Milan, Inter e Nazionale è morto a novantacinque anni. Era friulano di Susans, vinse lo scudetto della rinascita rossonera, sposò Edy Campagnoli in un continuo cambio di traiettoria con l'altro grande portiere della Milano di quegli anni: Giorgio Ghezzi

Nella Milano spagnola del Cinquecento, lungo la cerchia dei Bastioni, sulla strada che a nord-ovest portava al Borgo degli ortolani – el Burg di scigulatt – dove adesso, in piazzale Biancamano, poco distante dall’Arena, s’intersecano via della Moscova, viale Montello, via Bramante, viale Elvezia e via Legnano, si apriva Porta Tenaglia. Venne abbattuta già nel 1571. Poco meno di quattro secoli dopo, sempre a Milano, le parole “porta” e “tenaglia” si ritrovano nella biografia di Lorenzo Buffon, grande portiere di Milan e Inter negli anni Cinquanta e Sessanta del Novecento. Lorenzo Buffon è morto ieri, 25 novembre 2025: tra meno di un mese avrebbe compiuto 96 anni.

La sua è stata una lunga e bella storia.

Era friulano di Susans, frazione di Majano, colline friulane e faceva parte di quella colonna triveneta che fece la fortuna del Milan e che, qualche anno dopo, Gipo Viani, condottiero tecnico dei rossoneri dal 1956 al 1965 – anche lui trevigiano, di Nervesa della Battaglia –, ribattezzò “rassa Piave”.

Lorenzo Buffon – cugino in secondo grado del nonno di Gianluigi – arriva al Milan ventenne, nel 1949, dopo apprendistato oratoriale a Latisana – la città dove è tornato a vivere terminata la carriera professionistica – e quindi al Portogruaro. In rossonero scala in fretta le gerarchie di squadra e diventa titolare nel corso della prima stagione; in quella successiva, 1950-51, è protagonista della vittoria dello scudetto che al Milan mancava da 44 anni. In rossonero resterà per un decennio pieno, giocando 300 partite e conquistando quattro titoli nazionali e due Coppe Latine, competizione internazionale per club riservata alle squadre italiane, spagnole, portoghesi e francesi. Gioca anche 15 partite in Nazionale, divenendo anche capitano nei primi anni Sessanta, quando era già passato, con non poco clamore, dal Milan all’Inter.

Infatti è difficile raccontare la storia di Lorenzo Buffon, prima rossonero e poi nerazzurro, senza parlare di quella di Giorgio Ghezzi, romagnolo di Cesenatico, portiere prima dell’Inter e poi del Milan, che di Buffon aveva un anno in meno (1930) ma che se ne andò già nel 1990, a sessant’anni. 

Le loro traiettorie s’incrociarono anche nella vita sentimentale o, più precisamente, nelle cronache rosa e nei pettegolezzi dell’Italia della metà degli anni Cinquanta. Era l’epoca di "Lascia o Raddoppia?" (novembre 1955-luglio 1959), il programma a quiz che paralizzava il paese davanti agli schermi televisivi, ed entrambi ebbero una storia con Edy Campagnoli, una splendida ragazza milanese che accompagnava i concorrenti e passava le buste delle domande a Mike Bongiorno. Faceva poco altro (era soprannominata “la Valletta muta”) ma ciò bastava a renderla il sogno neanche tanto segreto degli italiani e soprattutto le regalava una immensa popolarità e notorietà. Dopo essere stata fidanzata con Ghezzi, nel 1958 si sposò con Buffon, con tanto di torta nuziale guarnita di un pallone e di un televisore al posto dei canonici pupazzetti. La cerimonia, che si svolse presso la chiesa di San Gottardo in Corte, a due passi dal Duomo, fu paparazzata come mai prima: si può dire che nel football il binomio “belli e famosi” nel calcio iniziò proprio nel 1958.

   

  

Belli erano molto belli: lei assomigliava a Doris Day; lui aveva anche recitato nel 1952 nella parte di sé stesso, ovvero di portiere del Milan, nel film Gli eroi della domenica, diretto da Mario Camerini e prodotto dalla Rizzoli Film e che fu il primo contatto tra il Milan e i Rizzoli, che portò, due anni dopo, Andrea Rizzoli alla presidenza dei rossoneri. La loro unione coniugale però durò poco e anche la successiva separazione fu argomento di gossip.

Tornando in campo, anzi in porta, seguiamo, plutarchianamente, le vite parallele di Buffon e Ghezzi. Buffon era robusto, solido nell’interpretazione del ruolo. Tutta la sua concretezza si condensava nella presa: forte, sicura. Una tenaglia. Da cui il soprannome da fabbro friulano. Ghezzi era più longilineo, più agile, più spettacolare, con una vena di follia che lo spingeva a “inventare” uscite spericolate sui piedi degli attaccanti. Per questo per tutti divenne “Kamikaze” (immortalato anche in una poesia che si legge sui manuali di letteratura delle scuole, ’53, di Maurizio Cucchi).

Che i due vengono però dalla stessa Italia lo si capisce dalle scarpe. Ricordava Lorenzo: "Al primo provino con il Latisana mi presentai con delle scarpe da ginnastica mezze bucate. L’altro portiere era il figlio del negoziante di articoli sportivi e aveva quelle coi tacchetti. Presero lui ma poi al Milan ci andai io". Ricordava Giorgio: "La mamma non voleva che giocassi a calcio perché distruggevo sempre le scarpe. Per questo divenni portiere: in quel ruolo si rovinano meno".

Buffon e Ghezzi sono involontariamente protagonisti di un girotondo di calciomercato e di porte. Ghezzi, all’Inter dal 1951, passa nell’estate del 1958 al Genoa; l’estate seguente, Buffon, viene ceduto dal Milan ai Grifoni, proprio in cambio del Kamikaze; il cerchio si chiude nel 1960, quando Buffon torna a Milano ma sulla sponda nerazzurra.

Le campagne acquisti-cessioni di allora funzionavano in maniera molto diversa da oggi. I giocatori appartenevano alle società, venivano disinvoltamente smistati come pacchi, avevano un margine di trattativa contrattuale pari a zero e la parola definitiva spettava comunque ai presidenti. I sentimenti, non solo quelli per le fidanzate o per le mogli, si liquidavano in fretta. Compreso l’amore per una squadra di calcio. Anche se, alla fine, magari non rimarrà l’unica. Anche se è possibile trovare la felicità e il successo altrove. Anche se non ha lo stesso gusto.

Lorenzo Buffon ha dichiarato a Cesare Fiumi, nel bellissimo "Storie esemplari di piccoli eroi": "5-1 alla Sampdoria e tre domeniche dopo, a casa della Juve, vincemmo 7-1, io parai bene e Nordhal fece quattro gol in cinque minuti. Arrivò lo scudetto [quello del 1951], ed erano quarantaquattro anni che il Milan lo aspettava, ci fu una festa grande. Ecco, quel giorno sono diventato milanista a vita. Non ho mai cambiato idea neanche cambiando maglia dieci anni dopo. Quando mi hanno ceduto all’Inter, dove ho vissuto i Derby capovolti e il primo scudetto dell’era Herrera. I tifosi nerazzurri sapevano come la pensavo, ma mi volevano bene. “Almeno abbiamo un grande portiere”, dicevano. Allora l’attaccamento, il senso di appartenenza, era un sentimento forte e tutti lo rispettavano. A quel tempo ero titolare della maglia azzurra eppure il Milan decise di darmi via: ero buono per la Nazionale ma non per la squadra rossonera. Non ho mai capito quello scambio con Ghezzi…". Un vero amante tradito che, come direbbe Marco Ferradini, Teorema, uno che "parla da uomo ferito".

Anche Ghezzi, peraltro, portiere dell’epica finale di Wembley e della prima Coppa di Campioni del Milan, dimostrò attaccamento ai colori nerazzurri che erano in fondo erano quelli della sua anima. Il suo hotel di Cesenatico lo chiamò Internazionale e gestiva anche un night dal nome Peccato veniale che aveva il simbolo del serpente tentatore ma anche bauscia.

Con la scomparsa di Lorenzo Buffon, se ne va il più “antico” vincitore di uno scudetto rossonero, quello appunto del 1950-51, arrivato dopo quasi mezzo secolo di carestia. Adesso a detenere il record di maggior longevità di campione d’Italia in maglia rossonera è un altro monumento del calcio milanese e nazionale: Osvaldo “Schopenhauer” – Brera dixit – Bagnoli, ragazzo della Bovisa, nato il 3 luglio 1935, che vinse in rossonero lo scudetto della stagione 1956-57. A dire il vero risulta ancora vivente anche Giancarlo Magnavacca, classe 1932, attaccante, polesano di Lendinara, ma cresciuto alla Pirelli dove probabilmente faceva l'operaio. Il Milan lo prese nell'estate del 1954 dalla Pro Sesto e lo inserì nella rosa della squadra che nella stagione 1954-55 vinse il 5° titolo della sua storia. Ma Giancarlo Magnavacca giocò solo amichevoli e neanche una partita ufficiale. Il Milan lo cedette l'anno dopo alla Cremonese, in C, dove fece 21 gol in 29 partite. Lo comprò quindi l'Atalanta e lo fece esordire in A nel 1956: giocò però solo 5 partite e poi s'infortunò. Tornò in C con la Fedit Roma per due anni e poi tornò di nuovo alla Pro Sesto in Serie D, dove chiuse la carriera a soli 28 anni causa ripetuti infortuni.

Sarebbe bello andare a trovare il Magnavacca e farsi raccontare quello scudetto di settant’anni da visto dalla tribuna.

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