Il calciatore della Roma Matias Soulé (foto LaPresse)
a Roma
Matias Soulé non è più un progetto per il futuro
Il fantasista argentino era arrivato a Roma per diventare il nuovo Dybala. Ma solo perché Dybala doveva essere ceduto. E quando l’ex Juve aveva deciso di restare, tutti sono stati presi in contropiede.
Non c’è niente di più effimero di un giudizio definitivo. Perché nel calcio basta un tocco a effetto per ribaltare sentenze, per sovrascrivere narrazioni portate avanti per mesi. È una regola non scritta con cui si sono confrontati tutti. E che adesso sta sperimentando sulla sua pelle anche Matias Soulé da Mar del Plata. In poco più di un anno l’argentino si è visto attaccare dietro al collo un’infinità di etichette. E quasi tutte portavano impressi giudizi non proprio positivi. Quello che doveva essere il trascinatore della Roma si era trasformato nel gran visir di tutti i flop di mercato. Da campione in nuce a zimbello. Senza possibilità di appello. Eppure il massimo esponente dell’arte irrazionale del dribbling era arrivato nella Capitale per un eccesso di razionalità.
Nell’estate del 2024 Soulé era qualcosa di molto vicino a un generatore costante di superiorità numerica. Saltava l’uomo partendo da destra, rientrava sul sinistro, tirava in porta. Tutte caratteristiche perfette per una squadra che, sotto la gestione Mourinho, usava gli attaccanti più per pressare i difensori avversari che per spaventare i portieri. Nella nuova Roma progettata da Daniele De Rossi, l’argentino avrebbe dovuto essere la scintilla in grado di mandare in cortocircuito le difese avversarie, di dare imprevedibilità a una manovra prevedibilissima. Avrebbe, appunto. Il progetto dell’ex Capitan Futuro era stato abortito quasi subito. Perché, in fondo, nessuno all’interno del club sembrava volerci credere sul serio.
La Roma dello scorso anno era un’entità zeppa di contraddizioni. Soulé era arrivato per diventare il nuovo Dybala. Ma solo perché Dybala doveva essere ceduto. E quando l’ex Juve aveva deciso di restare, tutti sono stati presi in contropiede. Nel terzetto d’attacco giallorosso erano rimasti solo posti a sedere. E gli esperimenti per far giocare insieme i due argentini si sono rivelati fallimentari. Dopo due spezzoni di partita l’esigenza di coabitazione aveva spinto De Rossi a dirottare Soulé sulla fascia sinistra. Spogliandolo però della sua arma migliore: il tiro di mancino sul palo lontano. L’arrivo di Juric ha complicato ulteriormente le cose. Schierare Soulé a tutta fascia sembrava impossibile. Così è stato incastrato nello spazio fra la punta e il quinto di centrocampo a destra. Senza campo a disposizione per tirare fuori tutti i conigli nascosti nel suo cilindro. La speranza del futuro giallorosso era diventata gingillo. Fino a meritarsi il nomignolo di "nuovo Iturbe", che tradotto fuori dal Raccordo significa abbaglio, pacco clamoroso.
Le cose sono cambiate con Ranieri. Ma lentamente. Il tecnico di San Saba non ha salvato solo la Roma. Ha salvato soprattutto Soulé. Dosandolo. Lavorando sulla sua testa. Facendogli capire che il Mati di Frosinone poteva essere anche il Mati di Roma. Il finale di stagione è stato abbacinante. Cinque gol (uno decisivo all’Inter) e altrettanti assist.
In questa stagione Gasperini ha completato l’opera. Soulé non è più il Dybala di domani, ma l’asso che vive l’oggi. Con 4 gol e 2 assist ha contribuito al 40 per cento dell’intero volume offensivo dei giallorossi. Ma c’è anche qualcosa che i numeri non dicono. Soulé ha ripreso a dribblare. E ha anche iniziato a correre in verticale, a trovare corridoi per la corsa degli esterni. Forse non sarà ancora un calciatore in grado di stravolgere il destino di un club, ma per il momento sta trascinando la stagione della Roma. Qualcosa di impensabile soltanto un anno fa.
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