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Verso Italia-Norvegia. Così la Nazionale scandinava ha trovato un posto nel grande calcio mondiale

Andrea Romano

Il movimento norvegese, che credeva di aver toccato l'apice negli anni Novanta, è riuscito a costruirsi una nuova credibilità grazie a un progetto che è partito dalla scuole del paese

Cesare Maldini balla davanti alla panchina dell’Italia. Con una polo rossa a fasciargli il corpo e un pass gigantesco che non la smette di oscillargli intorno al collo. Il ct alza le braccia al cielo e poi fa un saltello sul posto. È una danza spontanea e sgraziata. Ma esprime una gioia enorme. Sul prato del Velodrome Bobo Vieri ha appena raccolto un lancio di Di Biagio, si è incuneato in mezzo a due difensori e poi ha depositato nella rete della Norvegia il gol che vale i quarti di finale del Mondiale francese.

 

Sono trascorsi 27 anni da quel gol. Eppure sembra essere passata un’era geologica. Allora si parlava infatti di epoca d’oro del calcio norvegese. Con Egil Olsen in panchina, pioniere della videoanalisi e assertore convinto del "å være best uten ball" ossia dell’essere i migliori senza palla per battere avversari più forti. Ma anche di giocatori totemici come Flo (per tutti Flonaldo), Solskjaer, Johnsen, Bjørnebye. Solo che dopo quella rapida salita, c’è stata una vorticosa discesa. Nel 2015 la Norvegia era precipitata all’83° posto del ranking Fifa. In compagnia di potenze al contrario come Giamaica, Arabia Saudita e Panama.

 

Oggi le cose sono molto diverse. Perché quel movimento che sembrava dissipato è riuscito a costruirsi una nuova credibilità. La parabola è stata lunga e non sempre indolore. Anche perché il processo di crescita calcistica richiedeva di ricucire delle ferite interne. Per decenni il paese è stato spaccato a metà. Quelli del nord venivano visti come rozzi, trogloditi, selvaggi, una popolazione di pescatori e boscaioli. Le città ai margini del Circolo Polare Artico come Bodø e Tromsø erano inaccessibili, distanti migliaia di chilometri dalla capitale Oslo. Tanto che avevano iniziato a partecipare al campionato nazionale solo a partire dal 1971.

 

Il calcio, però, ha giocato un ruolo chiave nello scardinare gli stereotipi. Il governo ha infatti capito che il pallone poteva essere uno strumento fondamentale per aggregare comunità molto diverse fra loro. Così negli ultimi anni è nato il progetto "Calcio per tutti". L’idea è che il luogo in cui si consumano i riti iniziatici per i giovani calciatori debba essere la scuola. O, detto in maniera diversa, che il calcio debba diventare lo spazio comunitario più importante al di fuori della scuola. La Federcalcio locale sostiene di aver costruito "il miglior sistema di calcio infantile al mondo". Il primo passo è stata la creazione di una classe di istruttori di elite, di 1.800 strutture all’avanguardia, di campi in erba sintetica e di progetti condivisi fra tutti e 18 i distretti in cui è divisa la nazione. Poi ci si è messa la statistica. In base a un’indagine sulle attitudini calcistiche dei bambini, la Nff ha deciso di ridurre il numero di giocatori per squadra, passando da undici a sette. Una scelta a prima vista singolare, che però ha attratto sempre più ragazzini verso il calcio. Attualmente la Norvegia conta 411 club di qualità certificata che raccolgono circa il 60 per cento dei ragazzi che giocano a pallone. I risultati sono stati straordinari. Il numero dei tesserati è salito fino a quota 416 mila iscritti, mentre il calcio femminile è diventato lo sport più praticato dalle donne (con le iscritte che sono raddoppiate fino a quota 150mila). Merito anche di una politica che garantisce l’accesso alle scuole calcio dietro il pagamento di cifre simboliche.

   

La cura con cui la Nff accompagna i ragazzi dalla scuola al professionismo, ha fatto in modo che la Norvegia diventasse un paese esportatore di calciatori. Degli undici titolari scesi in campo nella vittoria per 5-0 su Israele, dieci giocavano fra Premier League, Serie A, Liga e Bundesliga. L’unico a giocare nel campionato nazionale era il capitano Patrick Berg, centrocampista di quel Bodø che ha di fatto sostituito il Rosenborg in Europa. Con risultati impensabili a quelle latitudini. I fulmini sono ormai una presenza fissa nelle coppe. Sono riusciti a creare una rivalità con la Roma di Mourinho (battuta 6-1 in casa) e l’anno scorso sono arrivati alle semifinali di Europa League. Grazie ai soldi della Uefa il Bodø ha potuto passare dal player trading a una visione che mette al centro i risultati sportivi. Finendo per diventare un piccolo polo d’attrazione per calciatori che prima non si sarebbero mai spinti fin lì. Ed è anche per questo che il calcio norvegese non può essere considerato una meteora.

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