LaPresse

Il foglio sportivo

Quando c'era solo la Valanga Azzurra

Fabio Tavelli

Rimase scolpita nella pietra eterna quella splendida cinquina, che fu un diamante unico in un periodo irripetibile per il nostro sci. Quei cinque erano diventati una filastrocca e hanno portato questo sport ovunque

È stata per anni come una filastrocca. Come Bacigalupo, Ballarin, Maroso… come Sarti, Burgnich, Facchetti… oppure Zoff, Gentile, Cabrini… questi erano cinque. Meno difficile rispetto ad arrivare a undici (infatti quasi nessuno arrivava a tombola indenne). Gros, Thöni, Stricker, Schmalzl, Pietrogiovanna… cinque, due in più dei Tre Moschettieri di Dumas. D’Artagnan arriverà a “stagione in corso”. Come arrivarono in seguito coloro che da una palla di neve che scendeva diventando sempre più consistente, alimentata dai grandi successi di Gustav Thöni e Piero Gros, composero quel meraviglioso fenomeno di sport, ma anche di costume, chiamato “Valanga Azzurra”. Il cinque-su-cinque di Berchtesgaden fu il momento più alto.

 

Oltre quella meravigliosa cinquina nella Valanga trovarono posto Herbert Plank, Paolo De Chiesa, Fausto Radici, Leonardo David, Roland Thoeni, Marcello Varallo, Stefano Anzi, Franco Bieler, Ilario Pegorari, Bruno Nockler, Giuliano Besson (recentemente scomparso) e Renato Antonioli. Il saldo dal 1969 al 1980 parla di 166 podi in Coppa del mondo, con 48 vittorie, 59 secondi posti e 60 terzi. Poi, intendiamoci, di quei 166 podi ce ne furono 104 della coppia Thöni (69)-Gros (35). Aggiungiamo le medaglie mondiali e olimpiche? Siamo a 6+6. La sestina a cinque cerchi fu composta da 2 ori (Thöni in gigante a Sapporo nel 1972 e Gros in slalom a Innsbruck nel 1976), 2 argenti (Thöni ’72 e ’76) e due bronzi (Roland Thöni nel ’72 in slalom ed Herbert Plank in discesa, splendida eccezione a successi praticamente tutti nelle discipline tecniche, nel ’76). Ai Mondiali altre sei medaglie. Quattro ori di Thöni, un argento e un bronzo per Gros. Fu una Valanga per la consistenza con la quale gli Azzurri occuparono il podio, per il numero spropositato di piazzamenti e per un dominio complessivo che non avrebbe avuto eguali. A guidare quella rivoluzione fu Mario Cotelli, Direttore Tecnico (lui, valtellinese doc, avrebbe detto: “Tennico”), mentre Oreste Peccedi fu l’allenatore (fino al 1976). 

 

Ma torniamo a Berchtesgaden. Ci fu un prequel poco ricordato, ma molto importante. Accadde a fine 1973, era il 16 dicembre e si disputava il gigante di Saalbach. In un’atmosfera da stadio simile a quella che gli austriaci creano alle gare di Kitzbuhel, i padroni di casa inflissero agli Azzurri, non ancora Valanga, ma con Thöni e Gros già campioni, una paga memorabile. Hubert Berchtold e Hans Hinterseer erano gli alfieri del Wunderteam. Durante la notte prima della gara nevicò tantissimo, la pista era di panna montata e i nostri Azzurri non riuscirono per niente a interpretarla. Gli austriaci presero tutte e quattro le prime posizioni, sul podio tra Berchtold (che vinse) ed Hinterseer si infilò Thomas Hauser. E il quarto? La beffa per gli italiani fu che ai piedi del podio si piazzò Franz Klammer. Proprio lui, il grande discesista che contese la Coppa nel 1975 fino all’ultima gara a Thöni e Stenmark. Klammer era un discesista puro, come ne nascono pochi. Ma quel giorno anche tra i pali del gigante se la cavò meglio degli Azzurri. Gros, il migliore dei nostri, chiuse quinto. Capite bene che un gigante dove Klammer precede Gros è qualcosa che non ha una spiegazione logica. “La prossima sarà vostra, ragazzi. Non nevicherà in eterno. Ci hanno fatto scendere con mezzo metro di neve fresca. La pagheranno”, chiosò la riunione tecnica Mario Cotelli. Che masticò amarissimo ma non perse la calma.

 

Si infervorò invece Oreste Peccedi, che senza mezzi termini alzò la voce: “Sono qui per insegnarvi a vincere, non a sciare”. Eh sì, sciare non era per loro un problema. Ma vincere era diverso. Thöni e Gros esclusi, chiaramente. Se ne riparlerà alla ripresa dopo le vacanze di Natale. Tre giorni uno dietro l’altro. Cinque e sei gennaio, sabato e domenica, a Garmish Partenkirchen. Prima uno slalom. Vinse Christian Neureuther davanti a Gustav Thöni. Il giorno dopo, discesa libera sulla pista Kandahar. Primo lo svizzero Collombin davanti ai Kaiser Franz Klammer. Sul podio salì anche il nostro Herbert Plank. Il terzo giorno fu un insolito lunedì, con spostamento nella Baviera Meridionale. Lì il Führer aveva la residenza estiva. Siamo a 20 chilometri da Salisburgo, la montagna si chiama Jenner e la pista Kehlstein. La sommità è stata battezzata: “Nido delle aquile” e da lì in giù è un canalone stretto e ghiacciato. La località si chiama Berchtesgaden e la conformazione della pista suggerisce alla televisione tedesca di non coprire l’evento. Oltre a costi eccessivi c’era un problema logistico non da poco per la posa dei cavi e il trasporto dei ponti.

 

La funivia era vecchia e malfunzionante, in più in quei canaloni piazzare telecamere con la giusta profondità per le riprese era qualcosa che nemmeno un filmmaker di alto livello sarebbe riuscito a garantire. Il fatto che fosse un lunedì, oltretutto il 7 di gennaio ovvero la ripresa di scuole e attività lavorative dopo le vacanze di Natale, fece pensare che in pochi se ne sarebbero lamentati. Arrivò invece una Valanga, Azzurra, mai vista prima. Gros-Thöni-Schmalz era la trilogia della prima manche. Stricher era decimo a quasi tre secondi da Gros. Il tedesco Rieger, quarto, contava sul fatto che a tracciare la seconda manche sarebbe stato il suo allenatore (Peccedi aveva tracciato la prima, nella quale un clamoroso Tino Pietrogiovanna col pettorale 43 si era arrampicato fino alla posizione numero 13). Nella seconda il capolavoro. Gros di nuovo il più veloce. Thöni prese due secondi e 23 centesimi. Terzo si piazzò Stricker, Schmalz scese dal podio. Mentre quinto diventò un miracoloso Pietrogiovanna. Gli austriaci? Dispersi, il migliore fu, pensate un po’, ancora Klammer (ottavo).

 

Gros riprese la testa della classifica generale, proprio davanti a Klammer, e vincerà a fine stagione il titolo più prestigioso. Quello di Berchtesgaden fu un trionfo epocale. L’8 gennaio nel titolare il suo articolo sulla Gazzetta dello Sport, Massimo Di Marco, che non era in Germania e non vide la gara, scrisse: “Una trionfale valanga azzurra sulle nevi di Coppa del Mondo”. Fu il battesimo di un nome che entrò nella storia dello sport, e non solo, del nostro paese. Che nel 1974 avrebbe vissuto una tremenda stagione di conflitti sociali (stragi di Piazza della Loggia e Italicus), deflagrati in tempi di austerità, crisi energetica e tangenti nello “Scandalo Petroli”. Per tacer del resto. Rimase scolpita nella pietra eterna quella splendida cinquina, che fu un diamante unico in un periodo irripetibile per il nostro sci. Che avrebbe vissuto ancora tempi di gloria con Tomba-Compagnoni-Brignone-Goggia (senza dimenticare altri grandi protagonisti a livello individuale). Poi sarebbe arrivato Ingemar Stenmark a chiudere un’epoca. Che fu e rimarrà per sempre il tempo della Valanga Azzurra.

Di più su questi argomenti: