Dall’album dei ricordi della Panini: Gianni Rivera con l’album Mexico ‘70, Giuseppe con Enzo Ferrari e Facchetti in visita alla fabbrica di Modena
il foglio sportivo
Cent'anni di figurine Panini
La storia dei fratelli Panini, i quattro moschettieri che fecero giocare gli italiani a “celo manca”
La culla delle figurine, l’edicola sotto i portici di Corso Duomo a Modena, non c’è più da otto anni, ma proprio in questi giorni quella più antica con il cilindro a cupoletta, è tornata a vivere al centro di una piazza e di un’epoca che non tornerà più se non per finta. Il chiosco esagonale aperto all’alba del giorno dell’Epifania dell’anno di disgrazia 1945 (“C’era così tanta neve – ricordava Umberto Panini, uno dei quattro moschettieri della dinastia delle figurine – che non riuscivamo a trovare la porta d’ingresso”) è sparito, inghiottito dagli anni e dai successi. L’edicola che lo sostituì, rettangolare e pitturata di rosso, l’hanno smontata quattro anni fa e spostata nella tenuta di campagna della famiglia di Umberto, il terzo dei quattro fratelli, soprannominato “l’esploratore”, perché lui, unico emigrato, i soldi li aveva già fatti in Venezuela. Ma “l’America è qui”, gli disse un giorno Giuseppe, il capo famiglia, illustrandogli il progetto senza senso di produrre album con le facce dei calciatori, e lo convinse a tornare. “L’idea oggi – spiega Antonio Panini, figlio di Giuseppe – è di fare di quel chiosco il primo pezzo di un museo di famiglia. Le figurine, la fortuna di noi Panini, sono nate lì e sono arrivate in ogni angolo di mondo”.
A riaprire l’edicola, quella nata sotto le bombe, salvata dalla rottamazione e comprata per seimila lire a rate, lo stipendio di un operaio dell’epoca, è una fiction della Rai, “La famiglia Panini”, serie in sei puntate prodotta dalla Indigo film con protagonista Serena Rossi, in uscita la prossima primavera. Piazza Grande in questi giorni, tra abiti d’epoca, insegne d’antan e vecchie Topolino, è tornata la Modena negli anni Quaranta, con al centro quell’esagono di legno che nessuno voleva, sopravvissuto alla miseria più nera, dove è nata l’avventura di quattro fratelli, Giuseppe, Umberto, Franco e Benito, salpati a bordo di una zattera fatta di buste a sorpresa inventate per riciclare libri e francobolli dimenticati in soffitta e sbarcati da transatlantico di lusso costruito sulle figurine che fattura due miliardi e mezzo anche adesso che loro non ci sono più e l’azienda è in mano alla famiglia di Aldo Hugo Sallustro, scomparso lo scorso aprile. Intorno a quel piccolo chiosco, scrive Leo Turrini nel libro “Panini, storia di una famiglia e di tante figurine” girava un mondo, il mondo di Modena anni Cinquanta, immagine abbellita di un’Italia che piano piano si stava rimettendo in piedi. Quell’edicola era come un periscopio puntato sui cambiamenti che stavano maturando.
Quattro come i Moschettieri, i Bonanza, i Fantastici Quattro, i Panini sono stati i Disney italiani, a partire da Giuseppe, scomparso nel 1996, talento precoce costretto a crescere in fretta, il padre morto il giorno del suo 16esimo compleanno “e tutti i soldi del suo primo stipendio – racconta sempre Antonio – li spese per pagare il funerale”. Modena celebrerà i 100 anni dalla nascita il 17 novembre in una serata che vedrà radunati Luca Cordero di Montezemolo, Walter Veltroni, Gianfranco Zola e Julio Velasco. Tutti, dall’editoria al volley, gli devono qualcosa. Giuseppe, il papà delle figu, orfano e capo famiglia a 16 anni di sette fratelli, è, con la madre Olga, il pilota di una gioiosa macchina da guerra che conquista a colpi di rettangolini colorati l’infanzia di tutte le generazioni nate nel dopoguerra. Sopravvissuto a un trapianto di midollo impossibile mutuato dall’osso di un vitello, licenziato da Ferrari perché lavorava da seduto, innamorato delle fisarmoniche e delle parole crociate, era un uomo abituato a pensare in grande anche quando la realtà intorno a lui era così piccola, demolita e periferica da scoraggiare ogni sogno, da spegnere ogni scintilla di genio. Cosa ci fai con un’edicola nell’Italia in macerie della guerra, cosa ci fai quando i giornali sono pochi, la carta razionata e le lire contate? Inventi, improvvisi, scommetti su quello che non c’è. Le buste sono un colpo di genio. Setaccia le soffitte dei modenesi e recupera libri gialli da vendere a due a due, a cento lire. E poi fumetti invenduti, francobolli senza collezione, caramelle assortite, tutto a prezzo stracciato, nascosti dentro una busta da scoprire come una lampada di Aladino.
È sempre Giuseppe a scoprire nel 1960 che una casa editrice milanese, la Nannina, ha pubblicato le figurine dei calciatori, ma rimediandone una Caporetto commerciale. Le strappa dal macero per poche lire, le ristampa, resuscita una scommessa morta. Il calcio è in bianco e nero, le partite in tv rare, le facce della maggior parte dei calciatori sconosciute. Non sono solo foto segnaletiche da appiccicare con la Coccoina su un album, ma giornate passate a fantasticare, la fiducia in un futuro migliore, un modo felice di stare assieme, il regno dell’ordine dove tutte le caselle devono stare a posto, l’educazione al baratto o, se volete, alle leggi di mercato: per averle bisognava comprarle, barattarle al “celo manca” o vincerle al gioco.
Quando i Panini vendono l’azienda sono un impero: fatturato da 150 miliardi, 450 milioni di figurine prodotte, 70 milioni di pacchetti, 500 dipendenti. Non solo calcio: cantanti, sceneggiati tv, da Pinocchio a Sandokan, animali, storia d’Italia e geografia, tutta la produzione Disney. Portano le figu anche in medio oriente: hanno già avuto successo in Israele quando Arafat in persona battezza entusiasta quelle palestinesi, poi ci ripensa. Forse avrebbero portato la pace attraverso i bambini, a decidere la Storia, come le partite, a volte sono i dettagli.
Gente alla buona i Panini, contadini di Maranello, ma ricchi di genio e voglia di fare, fatti l’uno per l’altro, incastrati quattro in uno in un meccanismo perfetto: Giuseppe il creativo, Benito il collezionista, Franco il contabile, Umberto il meccanico: in Panini si fanno ancora le figurine con le macchine inventate da lui. Così li aveva fatti mamma Olga, uno la continuazione dell’altro, come una fiction. Era rimasta vedova a 41 anni, ma aveva fiuto imprenditoriale e principi chiari da trasmettere ai figli: “Usate sempre la testa e non sarete mai servi di nessuno”. I Panini erano 8, quattro maschi e quattro femmine, oggi sono 32 che hanno messo al mondo 49 figli che a loro volta sono padri e madri di due dozzine di bimbi. Nessun Panini c’entra più con la Panini, sono tanti, ma restano unici. E senza nessuna doppia.
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