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Il foglio sportivo
Sinner non è solo un ragazzo che gioca bene a tennis
Jannik si racconta così, ma è già molto di più. La gestione del suo tempo e l’amicizia rivalità con Alcaraz. Intanto alle Atp Finals l'azzurro può ancora cercare l'impresa: finire la stagione da numero uno al mondo
È solo un ragazzo che gioca bene a tennis dice di sé il ragazzo presente nei cartelloni sparsi per la città, nei selfie, nelle pubblicità e nei discorsi di nonne tifose dell’ultimissima ora, ma non per questo meno appassionate. Il ragazzo che gioca bene a tennis è il terzo uomo più popolare d’Italia e a Torino nei giorni che precedono le Atp Finals è ovunque. Gli sono bastate poche parole per spegnere le polemiche nate e cresciute a mezzo stampa. (“Sono orgoglioso di essere italiano. Quello che non mi piace è che tutti parlano della mia rinuncia alla Davis e non parlano del fatto che abbiamo una squadra incredibile, anche senza di me”, gioco, partita e incontro, oltre che una lezione di fair play). Adesso, se possibile, parliamo di tennis, la cosa che a Jannik Sinner riesce meglio.
Un finale di stagione vissuto intensamente, dieci vittorie consecutive (senza contare la Six Kings Slam), il torneo di Vienna e poi Parigi, la riconquista del primato nel ranking. Nemmeno un giorno di riposo ed eccolo arrivare a Torino, nella sera di lunedì, per cercare il back to back, la seconda vittoria consecutiva alle Finals. Sinner ha aspettato qualche giorno prima di prendere una racchetta in mano, nei primi giorni ha preferito il golf e i go kart, è andato in visita al Centro di ricerca e cura contro il cancro di Candiolo, che fa parte del calendario piemontese dell’azzurro ormai di tre anni. Lo si è rivisto in campo mercoledì, dove si è riunito tutto il team, oltre a Darren Cahill che lo ha seguito nel tour Europeo è tornato Vagnozzi e infine il fisioterapista Resnicoff, arrivato in città per l’ultimo evento della stagione per l’azzurro che alle Atp Finals può ancora cercare l’impresa, finire la stagione da numero uno al mondo. È tutta una questione di timing, è lui stesso a spiegarlo e non vale soltanto dentro un campo da tennis, nel movimento di preparazione al servizio. Non è possibile dare il cento per cento sempre, ad ogni torneo.
Dopo Wimbledon l’adrenalina è scesa, la qualità del gioco anche. Succede. A tutti. L’impressione è che adesso ci risiamo, l’asticella si è rialzata, nella preparazione e nella programmazione dell’ultimo quarto di stagione l’obiettivo era Torino, farsi trovare al cento per cento per le Finals. Dall’altra parte c’è lui, il solito, Carlos Alcaraz, il ragazzo che da lunedì tornerà numero uno del mondo (almeno per una settimana), il ragazzo che insieme a Sinner ha contribuito a portare il tennis a un’altra velocità. Si sono allenati insieme, i fantastici due, venerdì mattina per due ore (ha vinto Sinner 6-3, per quel che vale prima di un torneo), per la gioia dei bambini che avevano comprato i biglietti per le sessioni di training senza sapere chi avrebbero visto.
Quasi amici, negli anni, a forza di vedersi in ogni domenica che conta, lo sono diventati davvero. E allora eccoli parlare in spagnolo di golf (lo sport in cui l’azzurro evidentemente può ancora migliorare) di swing e di ciò di cui parlano i ventenni, comuni mortali. Il mondo fuori cercava la polemica, l’astio, frasi di circostanza senza empatia. Al contrario si è trovata due ragazzi che quando finiscono gli allenamenti si fanno i selfie insieme, si dicono bravo alla fine di un bello scambio, si abbracciano e abbracciano uno il team dell’altro. Non è soltanto consuetudine. Uno ha insegnato all’altro la sconfitta. Sono tante le cartoline che li ritraggono insieme in questo 2025, successi e cadute da entrambe le parti. I tre match point di Parigi e un’altra lezione che regala il tennis: può succedere di uscire sconfitto da una finale, la più lunga al Roland Garros, che rimarrà nella storia; il clic è quando capisci che il vincente e il perdente hanno fatto entrambi parte di quel match.
Dopo Parigi Wimbledon, un altro abbraccio, questa volta in total white con l’erba sullo sfondo, lo spagnolo che cede il trofeo all’italiano, sempre con il sorriso. E poi Cincinnati, New York, l’Arabia Saudita. Ancora tu. O forse almeno tu. Torino è la resa dei conti. Sinner, appunto, cerca il bis, Alcaraz vuole smentire il passato e i suoi finali di stagione sempre complicati. A Torino non è mai arrivato oltre la semifinale, nel 2024 è stato eliminato nella fase a gironi. Quest’anno sembra essere tutto cambiato. Si è presentato in Italia in versione platino. Anche lui ha allenato il timing. È una dote che serve ai campioni se vogliono rimanerlo a lungo, sapere quando è il caso di spingere, e intuire al contrario quando è controproducente insistere.
Nell’intervista rilasciata a Sky Sport Sinner ha detto che dopo una partita che ha lasciato buoni feedback è utile andare avanti, accelerare. Al contrario, quando le cose vanno male, bisogna avere l’intelligenza di fermarsi, prendersi una pausa, non accanirsi sugli errori o sulle negatività. Alcaraz e Sinner lo hanno capito, proprio come hanno capito che dovranno spartirsi il tennis dei prossimi cinque anni almeno. Per questo è fondamentale imparare a gestirsi. Lasciare andare qualcosa per poi prendersi tutto.
A Torino sono loro a contendersi i cartelloni e le attenzioni pre Finals. Aspettando Lorenzo Musetti che ha ancora la possibilità di stabilire un nuovo record in quest’epoca dell’abbondanza. Due azzurri titolari tra i fantastici otto. A cui si aggiungono Andrea Vavassori e Simone Bolelli, qualificati per il secondo anno consecutivo a Torino nel doppio. È anche per questo se in città non si parla d’altro che di Tennis, dopo Artissima (l’altro evento cittadino famoso in tutto il mondo che celebra l’arte contemporanea) ecco i campionissimi. Anche loro superlativi. Un altro tipo di spettacolo contemporaneo. Per gli amanti della sintesi: un gruppo di ragazzi che giocano bene a tennis.