L'esultanza dei giocatori della Nazionale italiana di rugby dopo la vittoria contro l'Australia il 12 novembre 2022 (foto Getty Images)

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Il rugby azzurro chiede aiuto a Velasco

Marco Pastonesi

Primo test match con l'Australia che la Nazionale italiana riuscì a battere per la prima volta nella storia il 12 novembre 2022

Firenze, stadio Artemio Franchi, quello del calcio, ma stavolta prestato al rugby. È il 12 novembre 2022, è la 21esima volta che l’Italia affronta l’Australia, e il confronto fra vittorie e sconfitte azzurre è nero che più nero non si può: 20 sconfitte. È l’81esimo minuto, le partite ne durano 80, significa che il tempo regolamentare è scaduto, ma si gioca solo perché si deve proseguire finché il pallone è vivo – i rugbisti dicono proprio così –, cioè fino a quando il pallone non esce o l’azione non finisce. L’Italia conduce 28-22. Ma è l’Australia ad avere il possesso del pallone. E se riesce a segnare una meta (cinque punti) e a trasformarla (altri due punti), vince il match. 

 

La difesa italiana contiene, placca, ferma ma non arresta, l’attacco australiano avanza, impegna, si allarga e infine penetra. È Cadeyrn Neville, un uomo e mezzo, 2,02 per 123 chili, seconda linea nel pacchetto di mischia, ma qui catapulta aggiunta fra i trequarti. Penetra e atterra in meta. Punteggio: 28-27. Non rimane che il tempo della trasformazione. Apparentemente facile, comunque non difficile. Sulla sinistra, adatta a un destrorso, né angolata né centrale, facile, appunto, comunque non difficile, appunto. Se ne incarica Ben Donaldson: è entrato dalla panchina, è il suo esordio nei Wallabies, è uno specialista. La folla ammutolisce, soffre, gufa. Donaldson prende la rincorsa, calcia, guarda. Guarda il pallone che prende una strana traiettoria, invece di convergere tra i pali e sopra traversa, vola alto e, come sospinto dal fiato degli spettatori, prende una strana piega, devia, si allontana, esce dalla porta. Fallito. Il punteggio rimane a favore dell’Italia. La prima vittoria contro l’Australia. Chi l’avrebbe mai detto. Chi l’avrebbe mai detto così. Non l’avrebbe mai detto, né pensato, né immaginato, neppure Donaldson che, prima incredulo, poi distrutto, viene consolato perfino dall’azzurro Tommaso Allan.

 

Oggi c’è un’altra Italia-Australia, e non sarà mai la stessa: alle 18.40 allo stadio Friuli di Udine (e in tv, in chiaro sui canali Rai e in abbonamento sui canali di Sky Sport, in streaming su Rai Play e sulle piattaforme di Now e Sky Go), nel primo dei tre test-match degli Azzurri in novembre, ma nel secondo per gli australiani, che una settimana fa hanno perduto contro l’Inghilterra 25-7. Una sconfitta che non ridimensiona i Wallabies. “In Australia il rugby vive un periodo straordinario in tutti i suoi codici”, spiega Enzo Belluardo, studioso di rugby. “Non solo quello a XV (questo, il nostro, detto Union), ma anche quello a XIII (che appartiene alla League professionistica), quello a 7 (la versione olimpica) e quello del “touch” (toccare invece di placcare), con tanto di regolari campionati, senza contare che lo sport nazionale è una specie di rugby, l’Australian rules football”. Il rugby è materia scolastica. E anche per questo il suo sviluppo è regolare, continuo, incessante. Nelle classifiche mondiali i Wallabies sono settimi sia fra gli uomini sia fra le donne, però hanno impostato le rappresentative in un programma che prevede il massimo fra due anni, quando la Coppa del mondo si disputerà proprio in Australia. 

 

E l’Italia? Stavolta Gonzalo Quesada, il tecnico argentino, ha chiesto aiuto a un amico, anche lui allenatore, anche lui argentino, ma più vincente di lui: Julio Velasco. Parole, le sue, d’oro: “La prima cosa è che noi dobbiamo ‘convincere’ i giocatori: fanno tutto loro in campo. Se non riusciamo a convincerli, le cose non funzionano. Dopo dobbiamo anche farle funzionare bene insieme: il gruppo unito aiuta a far funzionare le cose, ma anche il funzionamento delle cose aiuta ad avere un gruppo unito. È una sorta di ‘andata e ritorno’. Non significa necessariamente che sia una squadra vincente, ma che funzioni: a volte l’avversario è più forte e anche fare tutto quello che possiamo, non serve. Negli sport di squadra l’aiuto e la collaborazione tra i compagni di squadra non deve essere una questione ‘etica’: se lo è, meglio. Ma deve essere una delle componenti del gioco”. Basterà?

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