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Così il Mirassol Futebol Clube è riuscito a trasformare 2,3 milioni in una garanzia di futuro
Investendo in un centro di allenamento all'avanguardia i soldi del premio di formazione di Luiz Araújo (passato dal San Paulo al Lille), la piccola società dell'entroterra paulista è riuscita a trovare dimora nel grande calcio brasiliano
C’è un’ombra che taglia l’entroterra paulista, tra i campi di canna da zucchero e le arterie industriali: la BR-153. All’alba, quando la nebbia si solleva leggera, appare un cartello verde: Mirassol. Una cittadina di circa 63.337 abitanti, 453 km a nord-ovest da San Paolo. Una realtà che, fino a poco tempo fa, nel calcio brasiliano non faceva rumore. Eppure quest’anno, in occasione del centenario, questo club ha deciso di ruggire: il Mirassol Futebol Clube, infatti, non è più l’ospite folkloristico del Brasileirao, ma una forza che ha trasformato la rispettosa curiosità in autentico timore.
Il punto di svolta è arrivato da un passaggio apparentemente ordinario: la cessione di Luiz Araújo dal San Paulo al Lille per circa 11,5 milioni di dollari. Al Mirassol ne sono arrivati 2,3 come premio di formazione: cifra che in molti avrebbero speso rapidamente in velleità goliardiche. Invece, è stata interamente reinvestita nel progetto più audace: costruire un centro di allenamento professionale. Non un monumento estetico, ma la piattaforma tecnica su cui modellare un club che non volesse più essere spettatore. Campi regolamentari, routine giovanile incisa sul modello professionistico, staff che condivide lo stesso linguaggio dal vivaio alla prima squadra. Un automatismo, una catena di montaggio del talento.
Nel 2024 il Mirassol ha conquistato la promozione nella massima serie brasiliana per la prima volta nella sua storia. Un’impresa incredibile, alla vigilia del centenario del club. Quella del giovane tecnico paulista, Rafael Guanaes, è una squadra che non ha bisogno di stelle miliardarie, non ha un budget mostruoso, non ha una città metropolitana alle spalle. Ciò che conta è la coerenza: struttura, processi, e mantra continuo sull’“essere squadra”.
In un Brasile in cui i grandi spendono per acquisire gloria, Mirassol – città-fabbrica di mobili, cintura agricola dell’entroterra paulista – spinge sul “bene comune”. E nel 2024, i ricavi del club hanno superato i 59,3 milioni di real con costi pari a circa il 61 per cento dei ricavi: la matematica della provincia che azzera l’alibi dell’inferiorità. Nel mercato dei diritti televisivi e delle sponsorizzazioni – spietato per chi non ha ‘superfici’ mediatiche – il Mirassol ha imparato presto, diversificando tra sponsor, plusvalenze e puntando sulla partecipazione stabile al Brasileirao: “ossigeno”, non manna.
Non aspettatevi un nome da copertina, un campione che illumina da solo. No: il Mirassol si muove come squadra. Il pressing, le palle inattive, il reparto più che l’individuo. E la vittoria dello scorso aprile per 4-1, in casa, contro il Grêmio è lì a dimostrarlo: la statistica non mente. Il risultato non è un miracolo, ma un’efficienza costruita. “La stabilità è una conquista”, dicono negli spogliatoi del José Maria de Campos Maia. Ma aggiungono subito: “… e senza struttura non dura”.
Il Mirassol dimostra che la modernità del calcio può nascere in provincia, che la grandezza non sempre abita dove pensiamo. In un campionato che premia il budget e le idee globali, qui vince l’idea locale che diventa universale. E mentre la BR-153 continua a scorrere, il ruggito gialloverde si sente forte: abbastanza da ricordarci che, in Brasile, non emerge solo “chi ha”, ma anche “chi fa bene”.
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