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chiave di A - come suona il campionato
Una Serie A dall'equilibrio incerto
Al Napoli basta pareggiare contro il Como per rimanere primo da solo, visto che la Roma ha perso con il Milan, che raggiunge al secondo posto i giallorossi e l'Inter
Le dieci giornate del campionato di Serie A, un romanzo musicale dove la classifica si sgrana e allunga per variazioni marginali, quasi circospette, pronte alla facile smentita come avviene tipicamente nella categoria appena inferiore, dove chi prova ad adottare forme di tiqui-taca estetizzante e conservativo è capace di fare anche una brutta fine.
Al Napoli, per una settimana, basta pareggiare contro il Como per rimanere primo da solo: ma non sono due punti persi, la squadra di Cesc Fàbregas è brava anche a non far giocare le avversarie. In coda, lo sprofondo viola obbliga alla citazione bartaliana (tutto sbagliato, tutto da rifare), soprattutto perché i grandi nomi non sono abituati a doversi salvare, e il rischio è già dietro l’angolo. Problemi che non hanno il fortunato Cristian Chivu e l’incoraggiante Luciano Spalletti, attorno al quale nell’ambiente bianconero circola un’aura di fatalità: come a dire, se non ce la fa lui non ce la fa nessuno.
Alice guarda i gatti, ma Gatti non guarda Jamie Vardy, che va in porta da solo e in bello stile: ci ha messo poco a diventare leader, l’ex Leicester. Lo si vede dalla grinta sfoggiata verso i compagni quando il pallone torna in gioco, fight! Fight! Fight! Sembra dire “ma io non ci sto più”, e si vede che non è sceso a svernare per gli ultimi contributi pensionistici.
Come Stefano Moreo, che realizza il primo gol - anzi, la prima doppietta - nel massimo torneo a 32 anni dopo una lunga gavetta, in uno stadio iconico come l’Olimpico di Torino: “I've nothing much to offer / there's nothing much to take / I'm an absolute beginner”, cantava David Bowie per i tipi come lui. E Juan Miranda, anch’egli alla prima rete in A con un siluro terra-aria dalla linea di fondo all’incrocio dei pali opposto: anche se sei un terzino, se lo devi fare, fallo bene.
Di sera si accendono le luci di San Siro, dove la Roma di Gian Piero Gasperini gioca a lungo meglio del Milan, ma la decidono i singoli: nella miglior tradizione di Massimiliano Allegri.
Rafael Leão e Strahinja Pavlović sono nati per correre, springsteeniani che attraversano tutto il campo da soli, box to box, coast to coast: anche i recuperi e gli slanci del sempre più rinfrancato Davide Bartesaghi appartengono a quella schiatta, e se Mike Maignan conferma di essere tornato quello dell’anno dello scudetto (con Stefano Pioli…), niente appare precluso. A proposito di coming back guy: che Giovanni Simeone fosse in una delle sue cicliche stagioni-sì, il campionato se n’era accorto, anche nonostante la tragicomica caduta a portiere già saltato, durante i cinque minuti di tremendismo.
Quasi per assonanza nominale, anche questo spazio saluta Giovanni Galeone, uomo libero come il mare fra Trieste e Pescara: lo stesso che bagna la Jugoslavia dei suoi campioni storti.
Allenatore adriatico quanto anarchico (i Ronin intitolarono così la loro reprise dei canti di lotta a cavallo tra 1890 e 1910), filologo senza sofismi zemaniani, il suo calcio con vista Tremiti era una pagina del breviario di Predrag Matvejević: “Sailing home across the sea, sailing stormy weathers to be near you, to be free”, se Rod Stewart fosse stata un’ala poco tornante, un fantasista biancoazzurro con la zazzera e niente fitness.
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